2000 - MADAGASCAR Bicicletta

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Flavio Facchinetti

Lunedì 31/07/00

Discreta nottata quella trascorsa nel Boeing 757 dell’Air Mad. Al risveglio ci appare dal finestrino quest’enorme isola, la quarta nel mondo per grandezza, il Madagascar. L’arrivo dei bagagli sul nastro trasportatore ci riempie parzialmente di gioia poiché abbiamo la preoccupazione che le biciclette abbiano subito danni durante il trasporto. Abbiamo l’indirizzo di un hotel gestito da un tedesco, il signor Sigfrido, che già in passato ha accolto calorosamente altri italiani residenti in Valsesia. Però la conoscenza della signora Malala e soprattutto la sua accattivante proposta ci suggerisce di cambiare destinazione. Infatti mentre l’hotel di Sigfrido si trova nel centro di Antananarivo (Tana) ad una quindicina di chilometri dall’aeroporto, Malala ci propone ad un buon prezzo un moderno bungalow, visionabile su depliant a colori, a tre chilometri circa dall’aeroporto di Ivato. Vista l'intenzione di visitare Tana al rientro dal tour diventa inutile e scomodo recarci ora. Per il trasporto in aereo abbiamo dovuto smontare le ruote, il manubrio e il portapacchi delle nostre biciclette e, utilizzando fogli di pluribol e cartoni, le abbiamo imballate e poste in sacche di plastica telata. Ora tocca assemblare il tutto e sperare che non nasca qualche problema o compaia qualche danno.

Siamo alle solite! Il cambio della bicicletta di Stefania si è danneggiato o meglio si è piegata la staffa che lo sorregge e per raddrizzarla mi tocca smontare il pezzo intero.

Anche la mia bicicletta presenta un guasto che riesco a capire solo dopo diversi tentativi: il perno che sostiene i pedali si è disassato in maniera tale da impedire l’utilizzo della corona più grande del cambio. L’attrezzatura che possiedo non è sufficiente per risolvere questo problema per cui spero di trovare un meccanico in qualche prossima tappa.


Martedì 01/08/00

Si parte alle prime luci dell’alba. Le ore di luce in questa stagione nel Madagascar non sono molte: dalle 6.00 del mattino alle 18.00 di sera, poi improvvisamente il buio più totale.

Il freddo ci obbliga ad usare la felpa, il K-way e i guanti di pile. In seguito il sole ci scalda e ci permette di spogliarci un po’ alla volta.

Attraversiamo un abitato alla periferia di Tana, il traffico è decisamente assordante, un continuo via vai di camion, taxi-brousse che si fermano continuamente a bordo strada per permettere la salita o la discesa delle persone, causando peraltro ulteriori ingorghi, auto e carri trainati da bestiame. I veicoli appaiono relativamente moderni.

Percorriamo una strada che funge da tangenziale e ci permette di non attraversare Tana e dirigerci direttamente alla “Route National n°7” che seguiremo sino al termine, la città di Toliara.

Devo ammettere che mai mi sarei aspettato un traffico del genere. La guida dei malgasci è pessima, per loro è obbligatorio tagliare le curve e sorpassare in ogni momento senza avere la giusta distanza di sicurezza!

Alla vista di un cartello di meccanico per auto e moto ci fermiamo con la speranza di riparare la mia bicicletta. E’ gente cordiale, presumo padre e figlio, che comprende subito il problema. Per smontare il perno che sostiene pedali occorre una chiave apposita, loro con l’uso di pinze, martelli e cacciaviti ci riescono ugualmente quindi sistemano i pedali e riavviatano il perno. Purtroppo mi accorgo solo in seguito che è stato avvitato troppo e non riesco nuovamente a cambiare come vorrei ma almeno non perderò pezzi per la strada. Il percorso è un continuo sali-scendi. Siamo in prossimità della catena montuosa dell’Ankaratra che culmina con la quota 2642 m e questo spiega il tracciato così tortuoso e ricco di salite. Si tratta di una zona molto arida e solo nella seconda parte del tragitto compaiono alcune risaie. Stefania è parecchio affaticata, le biciclette sono cariche all’inverosimile! Ci fermiamo ad una ventina di chilometri da Ambatolampy, la tappa odierna. Stefania avverte giramenti di testa dovuti ad un calo di pressione. Qualche barretta energetica e un po’ di riposo attenuano il problema. Ad Ambatolampy pernottiamo all’hotel “Au rendez-vous des pecheurs” dopo 84 chilometri.


Mercoledì 02/08/00

Ieri eravamo dell’idea di suddividere la tappa odierna Ambatolampy – Antsirabe di circa 100 chilometri in due tratte poiché la signora Malala a Tana ci aveva parlato di ulteriori salite. Parlando con il gestore dell’hotel cambiamo idea: ci rassicura che sino a Antsirabe non ci sono salite significative e in ogni caso ci sconsiglia di pernottare lontano da centri abitati in quanto risulta essere molto pericoloso. Infatti nelle ore notturne lungo la R.N. n°7 sino alla città di Fianarantsoa sono presenti banditi armati di lance che prendono di mira indistintamente turisti e locali.

L’albergatore aveva ragione: nessuna salita! Il traffico è nettamente diminuito e con esso lo stress che accumulava ulteriore fatica. Il paesaggio è magnifico, lungo il corso d’acqua che affianca la R.N. compaiono coltivazioni a terrazzo, risaie in gran parte. Siamo contenti poiché la giornata di ieri ci ha lasciato un po’ delusi. Il caloroso saluto “bonjour vasaha!” traducibile in “buongiorno straniero” ci accompagna lungo l’intero tragitto. I bambini distanti centinaia di metri dalla strada e intenti a giocare sospendono ogni attività per gridare a tutta voce il loro saluto. Numerosissimi i carri di zebù che trasportano ogni sorta di materiali, quasi a ricordarci il diverso scandire del tempo rispetto alle nostre consuetudini.

Antsirabe ci compare all’improvviso, decisamente meno stanchi di ieri ci rimane il tempo per visitare parte di questa graziosa cittadina.


Giovedì 03/08/00

L’escursione termica giornaliera è assai elevata, durante la notte la temperatura scende notevolmente. Alle prime ore della mattina il cielo quotidianamente nuvoloso non spaventa più poiché dopo poco si rasserena completamente lasciando posto ad un caldo sole. E’ con questi pensieri che procediamo verso il lago di Andraikiba, situato a circa 8 chilometri da Antsirabe. Il lago è suddiviso da un lembo di terra in due parti. Lungo l’intero perimetro è presente una pista sterrata pedalabile che percorriamo. Il silenzio regna assoluto, gli unici rumori provengono dai pochi pescatori che gettano reti in acqua e dalla donne intente a fare il bucato. E’ meraviglioso osservare il gioco di colore dei raggi solari filtrati tra le poche nubi rimaste sull’acqua. Nell’aria si avverte il profumo delle conifere circostanti. Dal lago di Andraikiba è possibile raggiungerne un secondo, il lago Tritriva, attraverso altri 8 chilometri di pista sterrata e in condizioni pessime. Stefania accusa un dolore al ginocchio destro e il buon senso ci consiglia di recarci con un altro mezzo. Torniamo così ad Antsirabe e contattiamo un taxi che ci conduce al lago tritriva. Gli abitanti del posto a causa del crescente interesse per la località richiedono il pagamento di un biglietto di ingresso. Vale la pena di visitare questa meraviglia della natura! Di origine vulcanica, per accedervi occorre salire sul bordo del cratere ed è possibile percorrere il perimetro grazie ad un sentierino. Durante il ritorno, quando già siamo ad Antsirabe, scorgiamo il bacino artificiale di Ranomafana e decidiamo di abbandonare il taxi per proseguire a piedi. Accanto al lago è presente uno stabilimento termale preposto alla cura di disturbi reumatici, epatici e biliari. Il percorso di ritorno al nostro hotel è più lungo del previsto e le continue richieste di lavoro da parte dei pousse-pousse (risciò in versione malgascia) sommate alle precarie condizioni del ginocchio di stefania ci inducono a cedere. Saliamo su un pousse-pousse ma dopo una decina di metri, guardandoci in faccia e vedendo lo sforzo della persona che ci trascinava, decidiamo di scendere pagando ugualmente il servizio completo.


Venerdì 04/08/00

Speriamo che le innumerevoli applicazioni di “Fastum Gel” sul ginocchio di Stefania diano buoni risultati! Il freddo è particolarmente pungente, probabilmente poiché oggi il cielo è sgombro da nubi.

Oggi è una giornata speciale, il traffico sulla R.N. è quasi scomparso e l’ambiente circostante un vero paradiso! E’ raro trovare un posto in cui l’uomo e le sue attività si siano inseriti così bene nella natura. Le coltivazioni disposte a terrazzo sono ovunque presenti, le abitazioni sono costruite in mattoni, questi vengono realizzati con la stessa terra rossa che compone il suolo e cotti in piccoli forni presenti ai margini di ogni villaggio attraversato. E’ una continua sintonia tra l’uomo, l’animale e l’ambiente. Nelle risaie vediamo donne impegnate a togliere le erbacce, nei campi uomini occupati a fendere solchi nel duro terreno e ovunque bambini che giocano e scorrazzano. Al nostro passaggio ogni attività viene sospesa come per incanto: ci salutano e spesso ci augurano un buon viaggio. Queste acclamazioni ci vengono rivolte anche da persone che non sempre riusciamo a individuare perché lontane dalla strada. Sono saluti genuini di persone semplici. Il percorso facilita inoltre l’osservazione in quanto per circa metà pedaliamo in pianura o discesa, incontriamo la salita più impegnativa a circa venti chilometri dalla meta odierna ma ormai siamo lanciati! Ambositra si estende ai margini di un promontorio. Sosteremo due giorni per dedicare la giornata di domani alla visita dei villaggi Zafimaniry, non molto distanti.


Sabato 05/08/00

Ieri sera ho impiegato un’ora per contrattare il prezzo con la persona che oggi ci conduce in taxi ad Antoetra, uno dei villaggi Zafy. Il prezzo fissato è relativamente alto se paragonato al costo della vita in Madagascar, in ogni caso Antoetra dista 42 chilometri da Ambositra, di cui 27 su sterrato in pessime condizioni. Oltre al costo della vettura a Antoetra occorre pagare una tassa di ingresso, una guida locale necessaria per raggiungere gli altri villaggi e elargire un’offerta al capo del villaggio visitato.

Da Antoetra un sentiero collega i rimanenti villaggi, visitabili in più giorni in quanto posti a molta distanza l'uno dall'altro,  da coprire unicamente a piedi. Noi decidiamo di impegnare solo questa giornata, per cui oltre ad Antoetra ci incamminiamo al villaggio più vicino, Ifasina. Impieghiamo tre ore tra andata e ritorno attraversando un paesaggio meraviglioso, purtroppo a volte rovinato da ciò che in malgascio viene identificato con il temine Tavy, ovvero il taglio e la bruciatura di piante d’alto fusto per ottenere terreni da coltivare o da destinare al pascolo. In ogni caso la vista del villaggio dall’alto blocca il respiro! le abitazioni hanno un’architettura particolare: sono realizzate in legno con copertura in bambù, sulle porte e sulle pareti si vedono particolari riquadri incisi con caratteristiche figure geometriche. Poco lontano è presente una chiesa cattolica, purtroppo chiusa, opera di un religioso missionario italiano che abita ora ad Ambositra. Durante il cammino insieme alla guida ci hanno seguito due bambini, le cui interminabili chiacchiere hanno fatto da sottofondo per l’intero tragitto.


Domenica 06/08/00

Che fatica! I primi 40 chilometri sono di salita quasi continua. Del sole neanche l’ombra ed ogni tanto piove con poca convinzione. Arriva anche l’agognata discesa che presto lascia il passo ad un’ultima interminabile salita. Ambohimahasoa compare ormai quando Stefania è stremata. Sei ore e mezza per percorrere 92 chilometri. Nel villaggio c’è carenza d’acqua per cui dobbiamo lavarci con un secchio delle preziosa risorsa. Ci raccontano che le salite sono finite, il percorso che ci attende l’indomani è addirittura pianeggiante. Ci crediamo ma non troppo!



Lunedì 07/08/00

Umidità al 100% ci accompagna durante la prima parte della tappa odierna. Nell’aria una condensa che sembra piovere e sotto le piante pioggia vera e propria. La voglia di arrivare a Fianarantsoa è più forte delle salite che affrontiamo e verso mezzodì eccoci! Giornata di riposo dedicata allo svolgimento di alcune funzioni necessarie: cambio valuta, acquisto alimenti, bucato e prenotazione taxi-brousse per la visita di domani al Parco di Ranomafana.


Martedì 08/08/00

Il taxi-brousse diretto a Ranomafana parte con un’ora di ritardo. Per guadagnare di più i proprietari cercano di stipare più passeggeri possibili, risultato il viaggio è davvero un’agonia! A tre quarti del tragitto, in massima parte su pista sterrata, il mezzo si arrende per l’immancabile guasto. Mi dicono che tra un quarto d’ora il danno sarà riparato, bugia enorme! Un ragazzo è addirittura tornato indietro a cercare un pezzo di ricambio, forse un semiasse. Passano venti minuti e arriva un fuoristrada. Noi ci siamo piazzati qualche decina di metri dal resto del gruppo e riusciamo a ottenere un passaggio. Due ragazze U.S.A. sbracciano per ottenere la stessa cosa, troppo tardi posto non ne è rimasto più!

Il costo di ingresso al parco è decisamente eccessivo rispetto all'estensione della porzione visitabile. L’ambiente del parco è suggestivo anche se ci è sembrato un po’ prefabbricato per turisti in quanto i veri protagonisti del parco, i lemuri, sono oramai abituati ai visitatori ed hanno perso la loro natura selvatica, come gli animali del nostro Parco del Gran Paradiso in Valle d’Aosta. E’ stato comunque piacevole conoscere questi animali che si trovano esclusivamente in Madagascar. Colpo di fortuna per il viaggio di ritorno a Fianarantsoa. Invece di aspettare un taxi-brousse abbiamo ottenuto un passaggio da un abbiente spagnolo con autista. Due ore e mezza di viaggio in totale comodità!


Mercoledì 09/08/00

Piove l’intera notte e solo alle 9.30 si può continuare il viaggio. E’ un’illusione dopo mezz’ora la precipitazione riprende ed in maniera intermittente ci accompagna sino a Ambalavao. Breve visita alla cartiera che produce la carta di Antaimoro e al mercato locale, molto vivo ma poco interessante.


Giovedì 10/08/00

La destinazione di oggi è pressoché ignota. Sappiamo che sosteremo per la notte in qualche piccolo villaggio facendo uso della nostra tenda. L’idea è di giungere a Voatavo ma non ne conosciamo l’effettiva distanza da Ambalavao. La giornata è memorabile, l’azzurro invade il cielo e il paesaggio ha paragoni in maestosità solamente con la tratta Ambatolampy – Antsirabe. Le rare salite ci permettono di osservare meglio ciò che ci circonda. Lungo il percorso attraversiamo numerosi villaggi microscopici, la gente vende i propri prodotti ai bordi della strada. Tra questi prevale la manioca, un tubero dolciastro. Come accade di solito le persone, specialmente i bambini, si affacciano sulla strada per salutarci. L’espressione del volto delle persone che riescono a portarsi a distanza ravvicinata è incredibile: la maggioranza rimane pietrificata, quasi incapace di sillabare o di comunicare qualcosa! Questa è la probabile conseguenza che “vasaha” in bicicletta da queste parti ne siamo passati davvero pochi! Eccoci a Voatavo. Chiediamo di potere parlare con il capo villaggio ma è assente. Un malgascio ci offre la possibilità di sistemarci nei pressi della sua abitazione, noi accettiamo. Durante le operazioni di montaggio tenda siamo assistiti da una decina di bambini, genitori compresi. Regaliamo generi alimentari al proprietario del terreno per contraccambiare l’ospitalità. Chiedo anche un po’ d’acqua per bere e per cucinare, senza esagerare poiché qui è un bene prezioso.


Venerdì 11/08/00

Pochi chilometri e si presenta nuovamente il problema al perno dei pedali della mia bicicletta. Siamo in mezzo alla campagna e non ho i ferri adatti per risolvere questo problema. Se continuo a pedalare il perno si sviterà completamente e saremo fermi definitivamente. Cerco di farmi venire qualche idea: utilizzando il magico filo di ferro riesco a bloccare il perno impedendogli di svitarsi ulteriormente. Ripartiamo. Il paesaggio è cambiato. Le montagne sono solo un ricordo ed ora l’ambiente è quello tipico della savana africana. Ihosy, la tappa di oggi, è una città graziosa e dimenticata dai turisti poiché non è punto di appoggio per la visita a qualche attrattiva.


Sabato 12/08/00

Salita decisamente impegnativa quella che da Ihosy ci conduce al Plateau de l’Horombe. Buona parte del percorso decidiamo di effettuarlo a piedi spingendo al bicicletta. A volte sulle forti salite infatti è meglio spingere che ostinarsi a pedalare, si risparmia energia. Saliti sull’altipiano il paesaggio cambia e trova posto una landa desolata che si estende fino a perdersi all’orizzonte. Percorsi 21 chilometri l’asfalto lascia posto ad un tracciato di pista sterrata che si protrae per i successivi 41 chilometri circa. L’ambiente diventa quasi più severo e sembra veramente di trovarsi lontano da ogni forma di vita umana. Lasciato il plateau ancora qualche tenue salita, quindi attraversiamo negli ultimi chilometri un piano scosceso che ci conduce a Ranohira.


Domenica 13/08/00

Ranohira è un piccolo villaggio che negli ultimi anni ha avuto un forte sviluppo alberghiero come conseguenza dell'istituzione del Parco di Isalo. Esso si estende su un massiccio di arenaria profondamente segnato dall'erosione. Abbiamo deciso di effettuare un itinerario a piedi che prevede un pernottamento con tenda all'interno del parco, in prossimità di una cascata denominata "piscine naturelle". Alle prime luci dell'alba, accompagnati dalla solita guida obbligatoria e insieme a due ragazze francesi ci incamminiamo. Siamo riusciti a convincere la guida a lasciarci una volta raggiunto il posto per campeggiare. Ritorneremo soli il giorno successivo mentre la guida ultimerà il percorso ad anello con le ragazze francesi stasera stessa.

La prima meta è raggiungere lo stretto Canyon des Singes che dista circa due ore e mezza di cammino da Ranohira. Lungo il percorso osserviamo le tombe di antichi capi villaggio della tribù di Bara, che risiedono in queste zone. Attraversato il torrente Menamaty arriviamo alle capanne del vecchio villaggio di Ranohira. Qualche centinaio di metri ed eccoci nella prima parte del canyon, in un bosco di manghi dove con l’aiuto della guida osserviamo i lemuri sifaka. Stefania, che già appena alzata accusava qualche disturbo intestinale, ora peggiora visibilmente. Parallelamente al dolore addominale, presenta giramenti di testa e un senso di spossatezza generale. Pensiamo ad un calo di zuccheri dunque di pressione. Ma anche in seguito al riposo in posizione sdraiata con le gambe sollevate, qualche biscotto e caramelle alla liquirizia il problema rimane. Decidiamo così di sospendere l’escursione. Accompagnati da un funzionario del parco giungiamo al parcheggio dei fuoristrada, poiché per le persone che non possono o non vogliono camminare c’è la possibilità di arrivare sino a qui con mezzi a motore. Pagando profumatamente riusciamo a convincere un autista a riportarci a Ranohira lungo la pista sterrata di 16 chilometri. Nel frattempo la guida e le ragazze continuano il trekking. Stefania dorme in una camera dell’Hotel Berny. La somministrazione di un “Geffer” ha smorzato i dolori e la nausea, resta la spossatezza generale che solo il riposo può guarire.


Lunedì 14/08/00 - Martedì 15/08/00

A 11 chilometri da Ranohira è situata una sorgente d’acqua che forma una piscina naturale denominata Oasis. Nei dintorni è possibile campeggiare per cui utilizziamo l’Oasis come ospedale – casa di cura e sostiamo due giorni. Oltre a noi pernotta una ricca famiglia  francese con tanto di maggiordomo francese, autista e due cuoche malgasce. Il marito è un medico chirurgo mentre la moglie si occupa d’arte. Approfittiamo della competenza del medico per qualche consiglio su come affrontare i malesseri di Stefania, lui ci regala un farmaco che dovrebbe risolvere il problema senza controindicazioni. Anch’io comunque la prima notte non mi sento bene, probabilmente ho mangiato troppo oppure ho preso freddo.

Domani dovremo partire in ogni caso. Se Stefania starà bene continueremo le ultime tre tappe in bicicletta. In caso contrario torneremo a Ranohira per affittare un’auto che ci condurrà a Toliara.


Mercoledì 16/08/00

La luna piena rende più facile i preparativi per la partenza. Il vento, soffiando tutta la notte, ha impedito che la tenda si bagnasse di condensa. Stefania sta bene e si sente abbastanza in forma. Il viaggio continua nella direzione giusta! La prima ora trascorre piacevolmente, la discesa ci consente di ammirare i contrafforti rocciosi del Parco di Isalo. Ikalala è il primo villaggio che incontriamo, che negli ultimi anni ha acquisito una fama particolare. La motivazione principale è la scoperta di giacimenti di zaffiri che hanno attirato centinaia di “cercatori di fortuna”. Parallelamente anche banditi di ogni specie sono arrivati ed hanno reso la località un posto insicuro, per cui è sconsigliabile fermarsi o peggio pernottare.

Ad Ikalala inizia la prima salita di 2,5 chilometri a cui ne segue una seconda lunga 5 che termina al Col des Tapis, dopo avere pedalato per 40 chilometri dall’Oasis. Probabilmente questo colle ha un’importanza topografica o amministrativa poiché in caso contrario non si spiegherebbe il fatto che è l’unico menzionato sulla carta lungo tutto il percorso effettuato finora. Inoltre le salite per raggiungerlo sono scarsamente rilevanti, fortunatamente! Il paesaggio ora è decisamente cambiato, i villaggi sono rari e di coltivazioni neanche l’ombra infatti il terreno è decisamente più arido. Il percorso si sviluppa in buona parte in discesa ed è così che giungiamo a Sakaraha in anticipo rispetto al tempo previsto, in seguito a 100 chilometri. Prendiamo in affitto una camera ed è lì che incontriamo e conosciamo il primo “cicloturista”. E’ un ragazzo francese, anche lui è partito da Tana, il suo viaggio però è già in corso da due mesi circa. E’ una persona originale, in parte invidiabile. Ha venduto la casa in Francia per avere la disponibilità economica di visitare il mondo, è in viaggio da circa un anno e questo è il suo primo itinerario in bicicletta. I suoi tempi sono quelli di chi non ha fretta e vuole vivere in pieno ogni situazione, ogni incontro, ogni momento. Personalmente penso che questo sia il vero modo di viaggiare, applicarlo però non è così semplice. Con Stefania appunto sto organizzando qualcosa di simile, che Dio ce la mandi buona!


Giovedì 17/08/00

Tappa breve e scarsa di emozioni. Scendiamo di quota e ci avviciniamo al mare. Il caldo incomincia a farsi sentire e ci crea qualche disagio nelle ore centrali della giornata. Andranovory è il villaggio in cui sostiamo. La nostra stanza è paragonabile ad un pollaio: quattro pareti in muratura e tetto in lamiera, senza luce elettrica, senza servizi, unicamente un letto e tante formiche. Ci dicono che ci porteranno un secchio d’acqua per lavarci ma so che è una bugia. Domani comunque saremo a Toliara per festeggiare e questi piccoli disagi non li ricorderemo più!


Venerdì 18/08/00

Consapevoli che questa attraversata in bicicletta sta volgendo al successo, regna nei nostri umori serenità e gioia. Questa regione abitata dalla tribù dei Bara è ricca di bestiame, specialmente zebù e capre. Sui margini della strada numerose persone vendono il carbone che producono dalla combustione lenta del legno. Questa zona è particolarmente brulla e arida, solamente la vista dell’oceano riesce a fare rinascere interesse per l’ambiente che ci circonda. Per festeggiare a Toliara ceniamo nel ristorante gestito da un italiano che abitava a Verbania, non lontano dalla mia Valsesia. La scelta, non casuale poiché ero a conoscenza della sua presenza, è azzeccata. Oltre ad un ottimo pasto abbiamo avuto modo di parlare della sua esperienza personale in questo paese. La burocrazia malgascia gli rende la vita difficile, inoltre la difficoltà di reperire personale a cui può delegare parte del lavoro organizzativo lo obbliga ad essere sempre presente. Confessa che la sua idea iniziale era di avviare l’attività per poi dedicarsi ad un regime di vita più tranquillo, invece ora si sente soffocare da questo impegno.

Conosciamo anche tre ragazzi veneti che hanno avviato una gelateria. Scappati dall’Italia per evitare la vita troppo frenetica, avevano inizialmente avuto l’idea di vendere gelati in maniera ambulante. Ora sono impegnatissimi, in procinto di allargare e migliorare l'attività. Parliamo con loro del problema “salute e igiene”. Ci dicono che in Madagascar è “obbligatorio” stare bene in quanto non esistono strutture mediche adeguate, qui il colera è endemico, nel mese di marzo solamente nell’ospedale di Toliara sono morte 110 persone e si presume che la causa sia questa malattia. Per non compromettere la promozione turistica infatti i servizi informativi (quotidiani e reti televisive) non comunicano le condizioni reali dello sviluppo della malattia, dunque attualmente le notizie che circolano sono incerte. In più il rischio malaria non è da sottovalutare, uno dei tre ragazzi l'ha contratta e dovrà convivere con le varie ricadute per tutta la vita. Siamo in Italia, seduti comodamente sul treno che da Novara ci conduce a Quarona. E’ piacevole rientrare utilizzando la linea ferroviaria in quanto consente di apprezzare meglio la visione della mia terra, la Valsesia. Dal finestrino osservo i profili delle montagne che conosco come quelli del volto di mia madre. Ricordo che da ragazzo in ogni stazione mi incantavo ad ammirare i giardini ben curati, le fontane con i pesci rossi e l’espressione rassicurante del ferroviere. La realtà ora è diversa. Le stazioni sono chiuse, i giardini abbandonati e le fontane vuote. E’ la conseguenza del nuovo sistema di razionalizzazione delle spese per ottimizzare la complessiva gestione delle ferrovie, con il quale le linee denominate rami secchi vengono parzialmente soppresse mediante riduzione del personale, chiusura di alcune stazioni, introduzione di nuovi automatismi o addirittura eliminazione di interi tragitti. Siamo contenti del viaggio, ci rimane qualche preoccupazione per le nostre biciclette purtroppo rimaste in Madagascar in quanto erroneamente non sono state imbarcate. L’impiegato dell’ufficio denuncie bagagli di Roma Fiumicino ci dice che succede spesso e di non preoccuparsi troppo! Sarà!

Vicino a noi una signora di mezza età fuma tranquillamente, ignorando il divieto esistente da diversi anni di fumare sui treni regionali. Mi alzo un po’ adirato e mi avvicino alla signora chiedendole cortesemente di spegnere la sigaretta. Mi rivolgo a lei niente meno che in lingua francese! Guardo incredulo stefania: è da un mese che parlo quotidianamente questa lingua, inconsciamente non mi rendo conto che invece ora sono rientrato in Italia!