1997/1998 - COTOPAXI (5897 m)   CHIMBORAZO  (6310 m) Ecuador

COTOPAXI (5897 metri) e CHIMBORAZO (6310 metri)


Viaggiare è ormai diventata una necessità! Ricordo un giorno di aver incontrato un distinto signore che affermava: “I soldi spesi nel viaggiare sono soldi ben investiti”. Questa frase è entrata nel mio cervello e non vuole più uscirne. Torno in America Latina, una terra che sento come la mia seconda patria!

Ormai rassegnato a partire da solo, circa dieci giorni prima del fatidico giorno ricevo la buona notizia: Laura, ragazza che conosco da un anno, ha deciso di unirsi a me per partecipare a quest’emozionante avventura. È l’Ecuador la nostra destinazione: nazione con una superficie simile a quella dell’Italia ma con una popolazione inferiore ad un quinto della nostra.

Nel programma stabilito, oltre alla visita turistica di questo paese, tenterò la salita delle due vette più elevate, Cotopaxi e Chimborazo, ed insieme effettueremo una crociera alle isole Galapagos. Laura, infatti, non effettuerà le ascensioni ma si limiterà a raggiungere i rifugi situati ai piedi delle due cime.

Utilizzando la compagnia aerea “Continental” sosteremo nel viaggio d’andata un giorno a New York.

Trascorse otto ore e mezza di volo siamo al cospetto della “Grande Mela” (New York).

Ricordo con piacere dieci anni fa quando, insieme agli amici valsesiani Jack e Fulvio, misi piede per la prima volta in questa metropoli. Arrivati di sera e, con la metropolitana, direttamente nel cuore di Manhattan, alla vista degli imponenti grattacieli e delle mille luci fummo paralizzati dallo stupore e dalla meraviglia.

Oggi che Jack vive qui da diversi anni, e da tre non lo vedo, sono emozionato come allora anche se in maniera diversa. L’incontro avviene nella Greenwich Street, nel locale dove Jack lavora. Un forte abbraccio vale più di mille parole! È in ottima forma e soddisfatto della nuova occupazione di responsabilità nel locale adibito a ristorazione. Trascorriamo una bellissima giornata ed ho modo di conoscere la sua nuova compagna, Catline, un grazioso avvocato americano conosciuto in una sala da ballo.

Quest’anno trascorro il Natale con un grande amico a rivangare tra i ricordi di tanti anni vissuti insieme, gli anni forse più belli perché i più spensierati.

Durante questa breve permanenza ci affidiamo totalmente a Jack che è di casa. Questa debolezza ci costerà parecchio!

Ultimi saluti e con l’aiuto di Jack e della metro ci portiamo all’aeroporto in tempo utile. Peccato che questo sia l’aeroporto J.F. Kennedy, mentre il nostro volo parte dal New York Airport, nel New Jersey. Di conseguenza dal Queens, con un taxi, poiché il tempo stringe, ci rechiamo nel New Jersey, pagando una cifra notevole di dollari che consentirà al tassista di trascorrere un buon Natale.

Altre otto ore e mezza di volo, compresa una sosta a Bogotà, e siamo a Quito, la capitale dell’Ecuador.

È una città che ci mette a nostro agio, niente a che vedere con la confusione d’altre capitali dell’America del sud come Lima, Buenos Aires o La Paz. Inoltre il costo, assai contenuto, dei taxi ci consente di muoverci in velocità senza troppi tempi morti.

Senza perdere tempo ci rechiamo in più agenzie per prenotare la crociera alle isole Galapagos. L’agenzia Fiesta, in Pinto 458 y Amazonas, ci sembra relativamente onesta confrontando i vari prezzi. Definiamo un tour di cinque giorni (quattro notti) su una piccola imbarcazione: lo Yate Gaby. Il costo è di 370$ a persona e comprende la pensione completa, una guida (obbligatoria) per la visita alle isole e l’equipaggiamento per lo “snorkeling”, che devo capire ancora bene in cosa consista.

Le isole Galapagos, a 972 chilometri dalla costa ecuadoriana, sono un arcipelago formato da cinque isole grandi, otto piccole e quarantadue isolotti. Di queste isole solo cinque sono popolate complessivamente da circa 15.000 persone.

Le Galapagos sono toccate da due differenti correnti marine: la corrente chiamata del Nino e la corrente fredda di Humboldt, proveniente dal sud del Cile e ricca di sostanze nutritive quali fosfati e altri sali minerali. La presenza di queste due correnti incide notevolmente sul clima che, altrimenti, dovrebbe essere secco e arido a causa dell’ubicazione dell’arcipelago. L’azione rinfrescante della corrente di Humboldt permette le precipitazioni e quindi, su alcune isole, la presenza di vegetazione. Questo meccanismo rende quest’area unica al mondo, caratterizzata dalla convivenza di animali propri delle temperature estreme dei poli e dei tropici.

È possibile osservare, in contrasto con balene e pinguini, animali dei climi caldi: tartarughe giganti, fenicotteri rosa, iguane e serpenti.

Grazie ad un viaggio in questo paradiso Charles Darwin nel 1859 trasse spunti per il famoso libro: “L’origine della specie”. Il naturalista britannico, osservando la vita degli animali e delle piante e gli adattamenti sviluppati per poter vivere nell’aspro ambiente dell’arcipelago, giunse alla conclusione che le forme viventi si fossero modificate per sopravvivere. Scoprì, ad esempio, che i passeri “pinzones” hanno dapprima sviluppato il becco e che questo ha poi preso la forma di uno schiaccianoci, per poter rompere i semi grandi e duri, e di una pinza per poter accedere al nettare dei cactus. Darwin intuì l’inarrestabile percorso di trasformazione della vita sulla terra, il processo della selezione naturale e della sopravvivenza del miglior dotato.

Data la distanza notevole dell’arcipelago dal continente, occorre utilizzare un volo aereo che da Quito porta a Baltra, località situata sull’isola omonima. Il costo attuale è di 370$ a persona. Occorre aggiungere a questi costi: l’ingresso al parco (80$) ed una tassa municipale (9$).

Abbiamo deciso di effettuare la visita di queste isole nell’ultima parte del viaggio, come una ciliegina sulla torta, mentre daremo la precedenza alle ascensioni alpinistiche approfittando del fatto che il nostro fisico non è ancora investito da alcun ipotetico tipo di malessere dovuto ai più svariati motivi: problemi intestinali, insolazioni o altro, tutt’altro che infrequenti in questi viaggi.

Per due giorni Quito sarà il nostro punto di partenza e di sosta per visitare i dintorni della capitale. A 27 Km si trova la “Mitad del mundo”, un’area turistica dove è tracciata una linea immaginaria che coincide con la metà della distanza tra i due poli. È presente un interessante museo etnografico ed una miriade di negozietti di souvenir e d’abbigliamento tipico.

A nord di Quito si trova Otavalo, con il suo variopinto mercato indigeno presente solo il sabato mattina; occorre sottolineare che buona parte dei prodotti esposti nelle bancarelle sono indirizzati ad una clientela turistica: ciò non toglie che si possa ugualmente gustare un po’ di sapore ecuadoriano. Lungo la strada che porta a Otavalo gratificante è la visione del vulcano Cayambe con i suoi 5.790 metri ed i suoi ghiacciai perenni.

In questa giornata di visita è la bellezza del paesaggio e la varietà dei colori a colpirmi: le lagune di Mojanda, la laguna di Cuicocha e la sacralità della cascata di Peguche, per arrivare alla quale occorre attraversare un bosco di eucalipti altissimi. Ancora oggi nel mese di giugno le popolazioni indigene vi celebrano riti notturni in onore alle divinità delle acque.

È il momento di affrontare la prima montagna: il Cotopaxi (5.897 metri).

Dal terminal Cumanda prendiamo un bus per Catacunga, fermandoci alle porte del parco nazionale di Cotopaxi. Qui è possibile trovare dei fuoristrada che portano ad un parcheggio a quota 4.600 metri. Occorrono rispettivamente un’ora e mezza di percorso in bus ed un’ora di sterrato con il fuoristrada.

Dal parcheggio, in mezz’ora di cammino su terreno ghiaioso, si giunge al rifugio Josè Ribas a quota 4.800 metri.

La nebbia e le nuvole basse impediscono di vedere il Cotopaxi, ma il continuo movimento di queste ultime ci fa sperare in un rasserenamento per la salita di domani.

Dopo mezzanotte dormire diventa impossibile per il continuo trambusto causato dai preparativi dei numerosi alpinisti.

Per la salita al Cotopaxi occorre partire molto presto così da facilitare la discesa dal ghiacciaio che, altrimenti, con l’opera di scioglimento del sole risulterebbe penosa. La mia intenzione è di partire alle 02.00, un po’ più tardi della norma, per non arrivare in vetta al buio e al freddo.

Bevo un po’ di thé con qualche biscotto e, quando ormai il rifugio è vuoto, m’incammino. Il cielo è nuvoloso e in lontananza vedo enormi bagliori che indicano l’arrivo di temporali. Spero non arrivino fin qui!

Non ricevendo aiuto dalla luce della luna e delle stelle fatico un po’ nell’individuare il percorso. Ieri ero salito un bel tratto per capirne di più. Con il mio passo costante supero ad uno ad uno tutti gli alpinisti con le loro guide; le gambe funzionano bene, ma sento di non essere acclimatato correttamente. Nel frattempo il tempo peggiora fino a nevicare cancellando le impronte dei giorni passati. Mi accorgo che l’itinerario che sto percorrendo non segue le indicazioni ottenute parlando con il gestore del rifugio a proposito della via normale, ma un altro percorso che presenta qualche difficoltà tecnica. Per sicurezza aspetto i tre alpinisti austriaci che da poco ho sorpassato e così facciamo un’unica cordata.

Attraversando enormi seraccate, camminando su esili ponti e affrontando qualche paretino a 45° di pendenza, mettiamo piede sul bordo superiore del vulcano a pochi minuti dalla cima, il punto più alto del cratere. Ha smesso di nevicare e da poco è comparsa la prima luce del mattino; la vista dell’interno del cratere da sola vale la fatica di questa salita. Inoltre, per chi è interessato a salire su questa montagna, la via normale non presenta le difficoltà che io ho trovato nel mio itinerario senza nome. Parlando in seguito con la guida ho saputo che la via normale segue i cambiamenti dovuti al movimento del ghiacciaio, come del resto avviene per molte altre montagne.

Sono state necessarie quattro ore per giungere in vetta con i nuovi amici austriaci. La nebbia e la neve creano un ambiente ovattato che sembra isolarci dal resto del mondo. Quest’atmosfera riesce a non farmi dispiacere della mancanza del sole.

Durante la discesa riesco a vedere ciò che il buio della notte aveva negato e a scattare qualche fotografia per immortalare questi momenti.

Felice di quest’ascensione giungo al rifugio dove Laura mi racconta dell’infelice nottata trascorsa, affermando: “ho passato la notte più brutta della mia vita!”. Ora sta meglio, i mali legati all’altura si sono smorzati e ha ripreso a sorridere.

In queste due giornate abbiamo conosciuto persone di tutto il mondo aventi in comune simpatia, gentilezza e un grande amore per i monti. Nella discesa a valle con i fuoristrada ci accompagna la pioggia ma la temperatura si alza sensibilmente; leviamo i diversi strati di vestiti e torniamo alla versione estiva in T-shirt.

Il viaggio prosegue in direzione Riobamba, città in cui sosteremo una notte per riposare e visitarla. Passeggiando per le vie abbiamo modo di osservare numerose chiese tra cui pregevole quella dedicata a S. Antonio, ubicata su di una collina. Nella zona centrale della città esiste un bellissimo parco, abbellito da numerosissimi murales, originali giochi per bimbi e da un laghetto artificiale. La tentazione è forte, affittiamo una barca e con essa navighiamo in ogni direzione. Non avendo molta esperienza nautica andiamo a sbattere più volte contro i bordi del lago sino a trasformarci in provetti marinai. Di fronte al lago si trova uno stadio e vedendo parecchia gente entrarci, la imitiamo. Risultato: si sta disputando una partita di calcio e ci troviamo tra i tifosi della squadra locale, “il Chimborazo”. Non meno degli altri restiamo coinvolti dal tifo. Spero sia di buon auspicio per la prossima ascensione.


Mercoledì 31 dicembre 1997

Abbiamo contattato un privato che possiede un fuoristrada, con lui ci recheremo al rifugio Carrel a quota 4.800 metri, situato sulla via di salita del Chimborazo (6.300 metri). Lungo il percorso troviamo, come già accaduto nei giorni precedenti, bambini e ragazzi che, posti ai due lati della strada, tendono una corda impedendo il passaggio. Questo meccanismo, che in fin dei conti serve per “spillare” soldi ai turisti, è un’usanza che si ripete ogni anno a cavallo del vecchio e nuovo anno. Se da un lato donare qualche monetina è un buon gesto, dall’altro elargire cifre considerevoli è, dal mio punto di vista, fortemente negativo per i loro precari equilibri familiari e sociali. Si creano situazioni in cui un bambino di pochi anni riesce ad ottenere in un giorno il denaro che il padre ottiene lavorando duramente e faticosamente per un mese. Allargando il discorso ad una società, ad un gruppo etnico o ad un villaggio ritengo che un certo tipo di turismo può significare la distruzione di equilibri che si sono tramandati tranquillamente di generazione in generazione.

Dal rifugio Carrel, per un comodo sentiero, in mezz’ora di cammino si arriva al rifugio Whymper posto a 5.000 metri. È qui che pernotteremo.

Il tempo atmosferico persiste al brutto. Oggi una guida locale con due clienti è riuscita a salire in vetta. Nel rifugio, oltre a Laura e il gestore, c’è un biologo tedesco che attende per domani l’arrivo della sua guida alpina. Sono un po’ demoralizzato per le avverse condizioni atmosferiche, ma ecco la gradita sorpresa: arrivano gli amici austriaci con cui sono salito al Cotopaxi. Insieme aumentano le possibilità di successo!

Tolto il gestore, siamo tutti europei e così decidiamo di festeggiare l’ultimo giorno dell’anno nell’ora europea che corrisponde alle 18.00 locali. Usciamo dal rifugio, sta nevicando, ma ciò non impedisce agli austriaci di far scoppiare al momento stabilito alcuni fuochi artificiali. La festa prosegue nel rifugio dove non mancano del pessimo vino bianco in cartone e allegri canti di ogni nazionalità. Momenti semplici che difficilmente dimenticherò!


Giovedì 1 gennaio 1998

All’ora stabilita dalla sveglia una bellissima sorpresa, il cielo è parzialmente stellato. Sono piuttosto impaziente e la lentezza dei preparativi degli austriaci mi deprime. È comunque meglio che vada con loro. In totale siamo in cinque; mi chiedono di stare davanti poiché conosco il percorso, non controbatto poiché la barriera linguistica porterebbe a discussioni interminabili. Come al solito, ieri sera avevo percorso un tratto ma la neve ha ricoperto le impronte. Fortunatamente ci sono numerosi ometti di pietra che ci aiutano. Arriviamo in un punto dove ci troviamo di fronte ad una barriera di roccia e ghiaccio. La sera precedente, chiedendo informazioni sul percorso, ero stato messo al corrente di quest’ostacolo che è possibile superare in due modi: a destra, su uno scivolo di ghiaccio, oppure a sinistra, con un passaggio di roccia di II grado superiore.

Preferiamo la roccia così non dobbiamo ancora calzare i ramponi. Una volta sul ghiacciaio superiore ci leghiamo per sicurezza anche se il percorso non è molto crepacciato. Ogni tanto compare qualche bandierina che, pur essendo poco estetica, diventa in questi casi di grande aiuto. Giunti a 50 metri dal Ventinilla, la prima punta obbligata, io ed uno degli austriaci ci sleghiamo poiché il procedere a strattoni stava diventando veramente faticoso. Intanto nasce il sole e ci accompagna sino alla “cumbre” del Chimborazo, un vasto panettone di ghiaccio e neve. Per essere sicuro di essere sul punto più alto mi sposto un po’ in tutte le direzioni ed alla fine ne ho la certezza. Una stretta di mano e qualche foto. È una giornata fantastica, è possibile vedere tutte le montagne ecuadoriane, meglio non poteva andare. Vorrei rimanere ancora un po’, ma l’austriaco mi fa capire che ha qualche problema ai piedi per il freddo per cui prendiamo la via del ritorno senza aspettare i nostri compagni.

Abbiamo impegnato cinque ore e mezza per la salita contro le otto, nove di tabella. A ritroso saluto gli altri amici come se fossero già in vetta, persone conosciute da pochi giorni, ma che la montagna ha unito in una semplice e sincera amicizia. Nei pressi del rifugio incontro Laura che sta leggendo un libro, contenta anche lei di una stupenda giornata, del panorama grandioso e soprattutto di non aver patito più i malori dell’altitudine, è ormai acclimatata!

Il viaggio prosegue con un trasferimento a Cuenca, attraverso la Cordigliera Andina. Le montagne sono rivestite da coltivazioni poiché un terzo della popolazione è dedito all’agricoltura e quasi il 50 per cento è rurale.

Cuenca, città incredibilmente moderna, è ricca di banche, negozi e hotel di lusso ma è anche il punto di partenza per le visite al Parco nazionale di Cajas ed alle rovine di Ingapirca, il sito archeologico più importante del paese, antica sede delle popolazioni Inca e Canaris.

A conclusione di quest’incredibile viaggio, non resta che gustare la ciliegina: le isole Galapagos. Pur essendo diversi anni che viaggio, la nuova esperienza di una crociera a queste isole riesce ad entusiasmarmi come da tempo non accadeva. L’ambiente ha del paradisiaco e mi fa riflettere sulle bellezze della natura che possono trovarsi negli habitat più diversi: montagne, deserto, mare...

Cercherò nella vita di non fossilizzarmi nelle montagne anche se credo sia quello montano l’ambiente più vicino alla mia personalità.


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Flavio Facchinetti