1998 - GASHERBRUM II (8035 m) Pakistan

GASHERBRUM II – 8.035 m (PAKISTAN, giugno – luglio 1998)


28/05/98

Sono in viaggio per Milano poiché devo spedire con un volo-cargo una parte dei materiali che mi serviranno in Pakistan per affrontare il Gasherbrum II e inviandoli prima ho un risparmio economico non indifferente. Il Gasherbrum II è alta 8035 m, rappresenta un sogno che coltivo da molti anni e ancora non mi rendo conto di questa nuova realtà.

Mi sono appoggiato ad un’agenzia specializzata che mi aiuterà nei vari problemi organizzativi e burocratici. Per questa nuova avventura ho a disposizione circa due mesi, una dozzina per il trekking d’avvicinamento alla montagna e trenta giorni al campo base per tentare la salita.

Guidare l’auto è una cosa che detesto ed inoltre sta piovendo a dirotto. Ritengo che l’autostrada in queste condizioni sia più pericolosa di una qualsiasi ascensione alpinistica! Alla barriera di Milano il traffico aumenta rendendosi insopportabile, quindi decido di sostare a Lampugnano nei pressi di una fermata della metropolitana. Riesco a giungere il luogo concordato al limite dell’orario poiché vengo a conoscenza di uno sciopero dei mezzi pubblici. Insieme al titolare dell’agenzia concordo alcuni dettagli fondamentali, comunque ci saranno altre occasioni per risentirci.

Uscito dall’ufficio chiedo informazioni al personale addetto dell’ATM e mi viene confermata la sospensione del servizio. Nel frattempo si avvicina una ragazza con un piccolo contenitore metallico: mi chiede moneta. Avrà una ventina d’anni e solitamente non regalo soldi a giovani di quell’età poiché spesso sono utilizzati per acquistare stupefacenti, ma i suoi occhi non danno l’idea di una tossicodipendente e così prendo mano al portafoglio. Giunge anche il suo ragazzo, che mi sottolinea l’impossibilità di utilizzare i mezzi pubblici. Porta i capelli lunghi legati a “coda di cavallo” e sembra affabile e disponibile. Alla mia richiesta di suggerimenti per portarmi a Lampugnano mi risponde che può accompagnarmi lui con l’auto, perché è lì che devono recarsi per la notte. Rifletto velocemente, la diffidenza non è mai troppa in una città come Milano, ma concludo che sono una coppia ed io posseggo un ombrello con un puntale che sembra una piccozza. Comprendo che sono brutti pensieri, ma la vita mi ha insegnato ad essere realista. Possiedono un’auto in pessime condizioni, carica di materiali vari ed alimenti. Sono gentili e educati e durante il viaggio vengo a conoscenza della loro storia. Si chiamano Luca e Annalisa, si sono conosciuti in Puglia dove lei viveva e lui si era recato in vacanza. Lì era sbocciato il loro amore profondo che come diretta conseguenza aveva portato alla decisione per Annalisa di trasferirsi a Milano, la città di Luca. Qui Annalisa trova lavoro nell’autolavaggio dove Luca lavora. Tutto procede per il meglio fino a quando l’autolavaggio chiude e i due si trovano disoccupati. Attualmente i due ragazzi da circa nove mesi vivono nell’autovettura, che considerano il loro monolocale. Certamente questa storia è alquanto insolita, resta il fatto che nutro un po’ d’invidia per questo amore profondo anche se non concepisco l’idea che due giovani pieni di vita trascorrano la loro giornata a raccogliere monete, a chiedere l’elemosina. Questi miei pensieri li trasferisco a loro e concludo che il nostro incontro non può essere casuale bensì di buon auspicio, possa portare ad una svolta la loro vita per viverla attivamente da protagonisti. Inoltre cerco di trasferire con alcuni episodi della mia vita questo senso d’entusiasmo e di gioia che mi invade spesso quando sono coinvolto nell’affrontare nuove avventure. Ci salutiamo calorosamente e prometto loro di inviargli una cartolina dal Pakistan. Venuti a sapere che questo è un sistema di autofinanziamento mi chiedono quanto mi devono pagare per avere questo ricordo. Conoscendo la loro situazione sono io a lasciargli qualche soldo, giustificandolo con il consumo di benzina. Nuovamente solo nella mia auto sotto una pioggia incessante, ripenso a questa giornata particolare, a questo incontro e alla discussione avuta nella mattinata con un collega di lavoro che affermava con convinzione che nella vita gli unici valori che contano sono quelli legati ai soldi, alla posizione sociale ed a possedere un’auto prestigiosa, sottolineando l’inutilità dello studio quando non è finalizzato ad un miglioramento sociale. Quelle frasi mi avevano parecchio scosso e turbato.


24/06/98

Sulla Terra esistono quattordici montagne che superano l’altitudine di 8000 m s.l.m., sono situate negli attuali Paesi del Pakistan, Nepal e Cina (Tibet). Queste montagne esercitano per molti alpinisti un grosso fascino, un sogno da realizzare. Riflettendo queste montagne sono più famose di altre solo perché casualmente la loro altezza è misurata utilizzando il metro. Se si utilizzasse un’altra unità di misura probabilmente le cose cambierebbero. Come conseguenza vi sono numerose montagne di poco inferiori agli 8000 m altrettanto belle e quasi sconosciute. Per salire il Gasherbrum II il periodo migliore è compreso tra la metà del mese di giugno e la metà del mese di agosto, poiché, appartenendo alla catena del Karakorum, non risente del monsone estivo che invece influenza le salite agli ottomila posti in Nepal e in Tibet, dove viceversa sono preferibili la primavera e l’autunno. Il costo del permesso per salire il Gasherbrum II è attualmente di 7500 $ per un gruppo di cinque persone, occorrono poi 700$ per ogni alpinista che si aggiunge al gruppo. Per ammortizzare questi costi mi sono inserito in una spedizione mista composta da cinque americani, un rumeno e un altro italiano. La creazione di questi gruppi non omogenei e costituiti da persone che non si conoscono è un sistema per limitare i costi, generalmente si introducono alpinisti autosufficienti di discreta esperienza. In particolare fino al raggiungimento del campo base e durante la lunga permanenza nel medesimo, si utilizzano alimenti comuni, consumati in un’unica tenda e preparati da un unico cuoco che si avvale di un suo aiutante. Traducendo il tutto in carta moneta posso affermare che per salire un ottomila nella maniera più semplice, senza pretese di comodità ed aiuti esterni (guide, portatori d’alta quota, ossigeno), occorre preventivare una cifra intorno agli undici milioni di lire, che lievitano nel caso si tratti di ottomila più elevati. In questa cifra non sono incluse le attrezzature alpinistiche personali e tutto ciò che concerne la vita ai campi alti, alimenti compresi.

All’aeroporto di Linate mi accompagnano gli amici Gianni e Marco, la loro presenza è molto importante. Sono le persone che hanno vissuto più da vicino i preparativi a questa spedizione. Sono d’accordo di trovarmi all’ingresso dei voli internazionali con angelo, l’altro italiano del gruppo, una guida del Trentino che avevo conosciuto qualche mese prima a Trento, durante il festival del cinema di montagna, appuntamento annuale per tutti gli appassionati. Il viaggio in aereo ci consente di conoscerci meglio e lo scambio di opinioni rende il trasferimento meno stressante.

Eccoci a Islamabad la capitale del Pakistan, il caldo è insopportabile ma meno umido di quello che pensavo. Ad attenderci un delegato dell’agenzia che ci conduce in hotel dove posso rivedere Manuel, l’addetto dell’agenzia che avevo conosciuto lo scorso anno al campo base del Muztagh Ata (7560 m). Fa sempre piacere rivedere un volto amico!

Questo hotel funge da punto d’incontro per gli alpinisti diretti ai diversi ottomila presenti in Pakistan: K2, Broad Peak, Gasherbrum I, Gasherbrum II, Nanga Parbat. Provengono da diversi paesi: Slovacchia, Spagna, Francia, Turchia, Romania, U.S.A.. Angelo ed io siamo gli unici italiani presenti in hotel. Manuel mi spiega che sarà con noi al campo base del Gasherbrum II e che forse si fermerà lì qualche giorno. Sono contento di questa notizia, ma è la presenza di Angelo che mi rincuora maggiormente, alpinista di notevole esperienza che mantiene inalterata la sua genuinità e semplicità. Oltre ad essere un istruttore-guida, è già salito su tre montagne di ottomila metri: Cho Oyo, Shisa Pagma e Gasherbrum I, inoltre ha partecipato a spedizioni al Nanga Parbat, Manaslu e l’Everest. Di fronte a lui mi sento piccolo, piccolo. Spero vivamente che anche al momento della salita riusciremo a collaborare come tuttora stiamo facendo. Fino a qualche anno fa le pratiche burocratiche per le salite di queste montagne erano interminabili, occorreva preventivare diversi giorni persi per svolgerle correttamente. Oggi le cose sono migliorate, solo i capi spedizione devono recarsi al Ministero del Turismo per un colloquio con gli addetti governativi e gli ufficiali di collegamento. Nel nostro gruppo Angelo è stato scelto come capo spedizione per la maggiore esperienza. In ogni caso tutti siamo andati alla polizia per la registrazione.

Ultimi acquisti alimentari e poi ci rechiamo in un negozio di tappeti per il cambio in nero dei dollari in rupie. Angelo conosce il proprietario, che ci intrattiene facendoci vedere la sua collezione di cartoline fatte stampare dalle spedizioni degli ultimi trenta anni. Sfogliando le pagine di questo prezioso album si legge la storia dell’alpinismo extraeuropeo in Pakistan, compaiono i nomi dei più grandi alpinisti del mondo.

Mi rattrista vedere che molti non esistono più, periti durante qualche ascensione. Prometto che anch’io spedirò la mia cartolina con il mio nome e quello di Angelo se riuscirò a salire la vetta.

Per la prima parte del trasferimento utilizzeremo un pullman che in due giorni ci porterà a Skardu. Insieme al mio gruppo diretto al Gasherbrum II, sono presenti una spedizione slovacca diretta al Broad Peak, Manuel e Ashaf Aman, il responsabile proprietario della agenzia pakistana cui ci siamo appoggiati. Parlando con Manuel vengo a conoscenza della storia di questo personaggio molto conosciuto nel suo paese, il Pakistan. Ashaf è stato negli anni settanta un componente della spedizione che salì per la seconda volta, dopo gli italiani, sul K2. Di conseguenza fu la prima spedizione pakistana a compiere questa impresa alpinistica. Nei suoi piedi ci sono ancora le tracce di quei giorni, che portarono alla perdita di alcune dita per congelamento. Alcuni atteggiamenti ed espressioni del suo volto lasciano trasparire la personalità carismatica di questo personaggio. La strada per Chilas, tappa odierna, è in condizioni decenti. La guida spericolata del nostro autista mi infastidisce alquanto, in seguito lascio che il destino faccia il suo corso. In verità bisogna ammettere che questi autisti sono spericolati ma assai capaci e svegli. Il viaggio è durato tredici ore, soste comprese, ed il percorso di 780 chilometri ha seguito in parte il corso del Fiume Indo. Differente il tratto del giorno seguente per Skardu, di soli 280 chilometri ma con una strada infima: numerosi sali-scendi, curve continue e brevi tratti di sterrati causati dalle numerose frane. Il viaggio è durato una decina di ore e ha seguito interamente il corso dell’Indo. Due i momenti magici della giornata: prima la vista della complessa ed enorme parete nord del Nanga Parbat (8125 m) e successivamente il punto di convergenza dei Fiumi Indo River e Gilgit River e delle tre catene montuose, Karakorum, Himalayia e Hindukash. Sicuramente un posto unico al mondo! Pochi chilometri prima di Skardu il paesaggio cambia, compare un’enorme piana ricoperta parzialmente da coltivazioni. Il caldo si fa più sopportabile grazie anche all’aumento di altitudine. Skardu o meglio la conca in cui giace questo villaggio, è meravigliosa. E’ incredibile come il paesaggio cambi con le diverse tonalità di colore della giornata. Manuel è venuto a conoscenza che al campo base dei Gasherbrum sono presenti quattro o cinque spedizioni oltre che a molta neve, la quale, se il tempo persisterà al bello, dovrebbe scomparire prima del nostro arrivo.

Sostiamo un giorno a Skardu per l’ingaggio dei portatori e per pesare i materiali. Questa giornata la trascorro a letto digiunando per alleviare i disturbi dell’apparato digerente, forse conseguenza della cena della sera precedente.

Nel tardo pomeriggio anch’io peso i miei materiali: sono in possesso di tre bidoni aventi peso rispettivamente di 24 Kg, 25 Kg e 21 Kg più lo zaino di 14 Kg, acqua esclusa. Questi materiali non includono gli alimenti e la tenda che utilizzerò al campo base poiché a questi provvede l’organizzazione. Per i miei materiali ingaggio tre portatori, due sono a carico dell’agenzia mentre il terzo sarà a mio carico: circa 3000 rupie pakistane (60$) per l’intero tragitto al campo base.

I portatori appartengono principalmente al gruppo etnico Baltì, sono generalmente pastori e agricoltori che nel periodo estivo per “arrotondare” portano i materiali delle spedizioni alpinistiche al campo base. Questo lavoro è molto importante per loro, un’occasione di reddito extra per migliorare il bilancio familiare. Il peso dei loro carichi è normalmente di 25 Kg, sono ottimi camminatori abituati ai notevoli disagi che incontreremo durante il percorso al campo base. Sopportano il freddo, dormono all’aperto riparati da muretti di sasso che costruiscono in maniera provvisoria coprendosi con teli e coricandosi l’uno vicino all’altro per meglio combattere le rigide temperature notturne. La loro alimentazione è alquanto povera, il pasto principale è il “chapati”, paragonabile al nostro pane, che cucinano quotidianamente durante le soste. A volte qualche manciata di riso, latte in polvere o semplice the. Sono persone molto socievoli e semplici, abituate alla dura vita dell’ambiente montano.

Per gli otto componenti della spedizione sono occorsi 95 portatori per il trasporto dei materiali. Questa quantità può sembrare enorme ma occorre tenere conto che un certo numero di portatori serve esclusivamente per portare il cibo che loro consumano nel tragitto di andata e ritorno. Inoltre sono presenti tre sirdar per la gestione dei portatori, una guida, un cuoco, un aiuto cuoco e l’ufficiale di collegamento che resta al campo base per tutto il periodo della salita. Discorso differente per i portatori di alta quota. Nel nostro gruppo nessuno li ha utilizzati. Sono persone molto distinte, aventi discrete capacità alpinistiche ed in possesso di un minimo di abbigliamento e attrezzature alpinistiche. Il loro lavoro è di portare i materiali e preparare i campi alti per facilitare la salita degli alpinisti nelle spedizioni “commerciali”. Amano la montagna e cercano anche loro di salire in vetta sia per un desiderio personale sia perché questo consente di arricchire il proprio curriculum, aumentando la possibilità di futuri ingaggi in altre spedizioni. L’ultima parte del trasferimento è effettuata con fuoristrada dato che si tratta di piste sterrate in pessime condizioni. In alcuni tratti occorre liberare la pista dalle continue frane, si tratta di terreni instabili che seguono il percorso del Fiume Braldo. Dopo sei ore di strada il viaggio si conclude poiché un’enorme frana sbarra il passaggio ai mezzi, per cui non ci resta che proseguire a piedi. Non sono dispiaciuto di questo fuori programma che mi consente di sgranchirmi le gambe ed assaporare meglio il paesaggio. Attraverso di corsa il tratto franato poiché continuano a cadere massi di varie dimensioni. In seguito il percorso si fa più tranquillo e pur essendo una zona molto arida, alcuni cespugli fioriti rendono il paesaggio attraente. Prima del villaggio di Askole in un prato all’ombra di numerosi alberi sostiamo per la notte. Guardo una bella montagna, Aman il famoso alpinista pakistano mi dice che è ancora inviolata. Mi sembra impossibile! Sulle Alpi Occidentali diventa sempre più difficile tracciare nuove vie e qui non lontano dalla zone frequentate ci sono montagne “vergini”! nel frattempo giunge un alpinista che porta un cappellino con la scritta “Italia”, ci salutiamo! E’ Simone Moro, conosciuto nell’ambiente extraeuropeo per le sue numerose ascensioni. E’ qui per tentare il Broad Peak ed è solo, o meglio si aggregherà al gruppo di Slovacchi sempre per le questioni prima esposte. Si ferma con noi per mangiare un piatto di pasta visto che il suo gruppo sta controllando i materiali.

Per giungere al campo base da Askole occorrono mediamente sette giorni di cammino. Askole è l’ultimo villaggio che si incontra: è costituito da abitazioni in pietra circondate da una distesa di coltivazioni principalmente di grano e orzo. Nei villaggi la vita delle donne è confinata all’interno delle abitazioni e nei campi, che sarchiano e ripuliscono dalle erbacce. La donna batte la lana di pecora e la carda, la fila e tesse al telaio le coperte. Trasporta l’acqua, cerca la legna e i cespugli da bruciare. L’uomo aiuta la donna nella cura dei bambini, provvede all’aratura dei campi, alla semina e all’irrigazione. Il pascolo delle capre e delle pecore è compito dei bambini. Ad Askole è presente una piccola scuola ed una moschea. I baltì sono musulmani di setta sciita, sono un popolo di origine indoeuropea ma di lingua tibetana. La presenza nel periodo estivo di spedizioni alpinistiche e di trekking sconvolge completamente l’aspetto economico e culturale di questa popolazione. Dal mio punto di vista sono maggiori gli aspetti negativi che il vantaggio di questa inevitabile situazione.



01/07/98

alle 5.00 sono già sveglio poiché voglio osservare la scelta dei portatori e la suddivisione dei carichi. E’ un momento particolare, non mancano i litigi sul peso dei carichi, ognuno lotta per fare valere le proprie ragioni.

Oltre alla paga spettano ad ogni portatore scarpe da tennis, occhiali da sole, calze e mantellina. Spesso succede che questi materiali li vendono ancora prima di iniziare il trekking. Lungo il cammino occorre scendere da placche levigate con passaggi sino al terzo grado di difficoltà. Fino allo scorso anno erano presenti corde fisse per superare questi ostacoli, purtroppo i portatori le hanno rubate per utilizzarle o per venderle una volta a casa. Ora loro rischiano la vita in quanto superano le placche con 25 Kg di bagaglio sulle spalle e scarpe di plastica ai piedi. Fortunatamente oggi non ha piovuto, altrimenti sarebbe sicuramente accaduto qualche incidente grave.

La tappa di oggi è durata otto ore e mezza circa, alcuni portatori sono arrivati al buio ed altri ancora non sono arrivati per niente. Questi ultimi si sono fermati prima di attraversare l’unico corso d’acqua incontrato mediante l’ausilio di teleferica, saggia decisione dal momento che compiere questa operazione al buio è pericoloso vista l’impetuosità del torrente. A causa del ritardo dei portatori e di conseguenza dei materiali abbiamo dovuto arrangiarci, il nostro cuoco pakistano è riuscito ugualmente a prepararci un buon piatto di pasta.

Questa giornata l’ho trascorsa in compagnia di Simone. Mi ha insegnato a usare la telecamera acquistata proprio per l’occasione, abbiamo parlato di alpinismo trovandoci concordi su diverse argomentazioni.


02/07/98

Alla mattina alcuni portatori non sono ancora arrivati. Siamo venuti a conoscenza che un contenitore è caduto in acqua durante l’attraversamento con la teleferica. Simone è alquanto preoccupato poiché dalla descrizione sembrerebbe il suo. Alle 9.00 tutti i portatori sono rientrati e manca proprio il bagaglio di Simone. Nel contenitore c’è l’attrezzatura alpinistica indispensabile per l’alta quota: scarponi, piccozze, due tende ed inoltre tutto il materiale fotografico. Il recupero è impossibile e per Simone la decisione da prendere è difficile. In seguito ad un breve colloquio satellitare con il proprietario dell’agenzia in Italia, riesce a trovare un accordo: rinuncia alla spedizione senza alcun indennizzo da parte dell’agenzia che gli offre comunque la possibilità di tentare in autunno un’altra montagna di 8000 m in Tibet. Ci salutiamo! Simone pensa alla sua famiglia e alla gioia di abbracciare i suoi cari, inoltre la nuova possibilità di salita autunnale riesce a fargli tornare il sorriso. Tappa percorsa in sette ore a mezza, senza tratti impegnativi. Ha piovuto tutto il giorno, o meglio ha gocciolato ad intermittenza. La meta odierna è un sito denominato Payù dove solitamente sostano tutte le spedizioni dirette al Ghiacciaio Concordia. Trascorreremo due notti per il riposo dei portatori e soprattutto per concludere le trattative riguardo il pagamento delle loro prestazioni d’opera. Payù è una località graziosa, all’ombra di alberi. Il suo nome è motivato dalla posizione ai piedi del monte omonimo. Payù è anche il ricordo della spedizione valsesiana del 1981: Tullio Vidoni, Gianni Calcagno e Alberto Enzio erano saliti su questa cattedrale granitica irta di placconate e pilastri a 6600 m.


03/07/98

giornata di completo riposo. Ne approfitto per osservare meglio usi e costumi dei portatori Baltì e a socializzare con loro. Con la cinepresa riesco a filmare la preparazione del chapati, l’alimento che spesso rappresenta l’unico sostentamento per un Baltì. Il chapati è a base di farina integrale, è cotto sopra una pietra o direttamente appoggiato sulla brace. Ho potuto seguire la distribuzione quotidiana del loro cibo ed il rituale della contrattazione sui compensi. Fondamentale la mediazione dei sirdar, dell’ufficiale di collegamento e della guida. Ho notato che i compiti di queste tre differenti gerarchie non sono bene definiti, spesso sono complementari e legati alla libera iniziativa di ciascuno. Manuel è venuto a conoscenza che due spedizioni, una composta da sei irlandesi e una formata da otto svizzeri, sono salite sul Broad Peak. Questo lascia supporre che le condizioni sono buone, la neve si è assestata. Parallelamente a questa buona notizia un’altra pessima: travolto da una valanga, è morto un alpinista francese appartenente ad una spedizione che tentava la salita al Gasherbrum IV.



04/07/98

la tappa di oggi ci introduce al Baltoro, un enorme ghiacciaio lungo 58 chilometri, largo circa due con molti rami laterali e coperto parzialmente di detriti morenici. Camminiamo per circa otto ore per portarci dai 3421 m di Payù ai 4057 m di Urdukas. Questi nomi indicano solo dei luoghi dove è presente acqua potabile e quindi la possibilità di campeggiare. Il termine Urdukas è traducibile in “la pietra spezzata”, infatti è presente un enorme masso suddiviso in due parti. I portatori fanno a gara per trovare i posti migliori per trascorrere la notte al riparo dalle intemperie, accovacciati sotto qualche masso gigante o utilizzando i ripari in sasso già presenti, testimonianza di spedizioni passate. Effettuare anche un semplice trekking in queste zone è piuttosto impegnativo, oggi ad esempio ho camminato spesso in tracce di sentiero su morene instabili. Come controparte la visione di montagne che fanno corona a questo ghiacciaio è fantastica: Picco Biale, Picco Payù, Torri di Trango e la Torre Mustagh sono nomi che difficilmente dimenticherò.

Cresce in questi giorni l’amicizia con Micael, il ragazzo rumeno. Conosce abbastanza la lingua italiana ed è stato possibile parlare di qualsiasi cosa. Mi racconta di essere sposato e di quanti  sacrifici ha sostenuto per racimolare i soldi che servono per questa spedizione. Per quasi un anno ha dovuto svolgere contemporaneamente due lavori inoltre mi spiega che in Romania gli sponsor aiutano ancora meno che in Italia e che fondamentale è stato l’aiuto di un canale televisivo. In termini di alta quota, la sua esperienza è maggiore della mia: la conquista del Nanga Parbat due anni prima è il suo massimo risultato. Componente aggregato ad una spedizione spagnola formata da due persone, è riuscito ad espugnare l’ottomila, purtroppo il prezzo è stato molto alto per i due spagnoli che sono morti! Buona è la convivenza con i cinque americani, certamente la barriera linguistica rende tutto complicato. La mia conoscenza scolastica della lingua inglese poco aiuta per comprendere la parlata californiana. Tre di loro sono di età avanzata ma solo Bill ha problemi di affaticamento e quota. Oggi ha impiegato più di 13 ore per arrivare al posto tappa. Domani sosterà qui un giorno per riprendersi. E dire che è venuto per tentare un ottomila! Mi dispiace per lui, ma con i soldi non si compra tutto!



05/07/98

Tappa Urdukas - Goro II, tempo impiegato cinque ore. Giornata di tempo variabile, con un paio d’ore sottolineate da pioggia leggera e vento. La perturbata condizione climatica ha impedito di ammirare il Masherbrum e il Gasherbrum IV, i due gioielli di questa giornata. Analogamente a ieri ho camminato per l’intero tragitto insieme a Micael con il quale mi trovo bene per andatura e simpatia. Siamo a quota 4340 m e specialmente verso sera il freddo comincia a farsi sentire.


06/07/98

Questa notte la temperatura è scesa parecchio e all’interno della tenda ho rilevato due gradi sopra lo zero. Alla mattina però il tempo si è evoluto decisamente al bello per cui uscito dalla tenda ho potuto ammirare il Masherbrum e, sul lato opposto, il gruppo dei Gasherbrum. E’ una giornata fantastica, Micael ed io sostiamo parecchio per fotografare, riprendere con la cinepresa e soprattutto gustarci il paesaggio. A mano a mano che procediamo compaiono prima la Torre Mustagh (7273 m), poi il Broad Peak (8047 m). Giunti al Concordia (4600 m) lo spettacolo è incredibile! Non penso esista un altro posto sul nostro pianeta dove siano presenti così tante montagne di 7000 – 8000 m in uno spazio così “ristretto”. Emozione fortissima quando a sinistra spunta il K2, la montagna degli italiani. Anche il Broad Peak non sfigura con la sua enorme mole. A destra più lontano il Chogolisa (7654 m), la montagna dove perse la vita Hermann Bull. Forse l’alpinista che più mi sta a cuore.

Per raggiungere Shagriing occorrono circa sette ore, qui sostiamo al cospetto del gruppo del Golden Throne. Per terminare in bellezza la giornata, un gruppo di portatori improvvisa una piccola festa utilizzando i bidoni come strumenti musicali, con canti e balli siamo tutti coinvolti, anche se l’affanno dei 4800 m obbliga a “darci spesso il cambio”!

Il trekking del Baltoro si svolge quasi interamente su morene miste a ghiaccio e sfasciumi ed è per un amante delle montagne il meglio che il nostro pianeta possa offrire. Forse non è troppo adatto ad un escursionista amante del verde e della natura più appariscente.



07/07/98

Ultimo giorno di trekking per il campo base. In queste 3 - 4 ore di cammino altre meraviglie ci attendono: l’Hidden Peak (8068 m) la montagna più alta del gruppo dei Gasherbrum e il Chogolisa dal suo lato migliore. Giunto al campo base, piazzata la tenda in maniera stabile e riordinati i materiali, mi resta il tempo per procedere in direzione Est per circa 10 minuti. solamente da questo punto è possibile osservare la mia montagna. Nel totale silenzio mi sono seduto su un masso per ammirarla, per imprimere nella mente le sue forme e la via di salita.


08/07/98

Oggi inizia la fase di acclimatazione, che consiste in compiere brevi passeggiate sulle morene, riempire sovente e con piccole razioni lo stomaco e bere molto. Con grande sorpresa incontro il portatore d’alta quota conosciuto in Cina durante la spedizione al Mustagh Ata. Spero mi porti fortuna, come lo scorso anno del resto! Mi presenta il suo compagno Rajab Shah, molto conosciuto in Pakistan. Quest’ultimo mi racconta di essere già salito due volte sul K2, due sul Broad Peak, due sull’ Hidden Peak e anche sul Nanga Parbat. Quest’anno con una spedizione di Giapponesi tenterà di espugnare anche il Gasherbrum II, completando così gli 8000 della catena del Karakorum.


09/07/98

Di comune accordo Micael, Angelo ed io abbiamo deciso che domani partiremo per il campo I. Abbiamo dormito tre notti sopra i 4000 m e, con questa, due a 5000 m, di conseguenza la giornata è dedicata alla preparazione dei materiali necessari per l’indomani.


10/07/98

Partenza ore 5.00. Freddo sopportabile. Il percorso è parecchio articolato poiché i crepacci sono numerosissimi. Ogni tanto qualche bandierina di precedenti spedizioni ci aiuta ad individuare il migliore percorso. Se non si procede in cordata, effettuare questo tragitto nelle ore calde del giorno può essere assai pericoloso. Camminiamo lentamente per consentire al corpo di abituarsi alle nuove condizioni di altitudine. In quasi sei ore siamo al campo I posto a 6000 m. Sono affaticato e mi duole la testa. I miei compagni sembrano in condizioni migliori. Non mangio molto ma cerco di bere più possibile sciogliendo neve con il fornellino ed aggiungendo sali minerali. Abbiamo montato due tende: una occupata da Angelo e Micael, l’altra da me e dall’ufficiale di collegamento. L’ufficiale scenderà domani con l’ausilio di un'altra cordata.


11/07/98

Mi sento decisamente meglio, con i miei compagni trascorro la giornata a cercare di riposare, a mangiare e bere, scattare qualche fotografia, controllando sempre che l’organismo risponda bene a questo “lavoro”. Il tempo atmosferico, che da diversi giorni si manteneva sereno, oggi è mutato per la presenza di nuvole, le quali verso sera ricoprono totalmente il cielo. Domani tenteremo la salita al campo II, dove dormiremo una notte per acclimatarci al meglio.


12/07/98

Tutto il giorno alternativamente nevica e piove per cui il nostro programma va a monte. Trascorriamo un’altra giornata al campo I chiusi in tenda. Speriamo per domani.


13/07/98

Anche oggi nevica! Restare ancora qui è comunque inutile, occorre decidere se salire o scendere. Per acclimatarsi l’ideale è dormire almeno una notte al campo II, pertanto prendiamo la decisione di salire. Il tracciato prima percorre uno scivolo di ghiaccio con pendenza 40°55°, dove la presenza di corde fisse diventa un grosso aiuto specialmente in fase di discesa, poi si sviluppa lungo un traverso che termina con una salita. La fatica è enorme, basti pensare che impieghiamo sei ore per giungere al campo II! Non nevica più ma un forte vento ci crea problemi quando piazziamo la tenda, che occorre fissarla mediante ancoraggi costituiti da sacchetti di nylon pieni di neve e sepolti nella medesima. Alternativamente a questo sistema di ancoraggio o in combinazione, è possibile impiegare o picchetti alti quasi un metro in lega di metallo o piccozze, a patto poi di non doverle utilizzare.

Il tempo peggiora ancora e all’interno della tenda ci accovacciamo l’uno all’altro, conservando un grosso sacco di neve che servirà per produrre acqua e calmare la sete. Angelo poi taglia il collo ad una bottiglia di plastica che utilizzeremo come pappagallo comune per evitare di uscire dalla tenda durante la notte. A queste altitudini ci si deve adattare ad ogni situazione, questo mi aiuta a rivedere anche la scala dei “valori” che la Società ci vorrebbe fare adottare: “successo e denaro”!

Nel dormiveglia mille pensieri frullano nella testa, mi vengono in mente tutte le persone care, in questi momenti sono un aiuto indispensabile!


14/07/98

E’ mattina, bisogna scendere! Muoversi in tre nella tenda e in carenza di ossigeno è distruttivo. Poi fuori sottoposti al freddo pungente, indossiamo velocemente imbracatura e ramponi. I miei guanti sono irrigiditi dal gelo ma decido di usarli ugualmente e lasciare qui le muffole in piumino con i vari sotto guanti per il tentativo decisivo alla vetta. I miei compagni hanno intenzione di effettuare la salita senza l’utilizzo dei campi alti (III e IV), io invece avendo meno esperienza e cercando più possibilità di successo, salirò in maniera più tradizionale. Scendiamo con molta attenzione, dal momento che sovente gli incidenti avvengono proprio durante la discesa, probabilmente per una sorta di rilassamento generale. Mentre attraversiamo i seracchi ricoperti da neve fresca, la corda si tende a causa di qualcuno che affonda sino al ginocchio. Scendere slegati in questa situazione sarebbe un suicidio. Finalmente compare il campo base. A circa 50 metri da esso ci attende Fida, il cuoco, con un thermos di thè caldo. Un forte abbraccio, tutti contenti di rivederci!

La prima fase della salita è terminata, ora occorre una pausa di diversi giorni per ricaricare il fisico delle necessarie energie. All’ora di cena Micael ed io mangiamo a volontà, purtroppo Angelo ha problemi di stomaco che lo obbligano a limitarsi.


15/07/98

Giornata stupenda, il sole è tornato. Normalmente qui il sole sorge verso le 4.30 e tramonta verso le 19.30 pertanto vi sono molte ore di luce e ciò è cosa buona per le ascensioni. Ieri scendendo abbiamo incontrato i quattro americani del nostro gruppo che finalmente salivano al campo I per fermarsi diversi giorni. Siamo contenti di rimanere soli al campo base poiché questi americani non sono antipatici ma fortemente scrocconi, infatti hanno la cattiva abitudine di mangiare qualsiasi cosa venga appoggiata sul tavolo senza chiedere il permesso o almeno ringraziare, anche quando è palese che l’alimento è privato! In queste spedizioni è buona cosa portarsi qualche vizietto alimentare del proprio paese, diventa un aiuto “mentale” non indifferente. Questa sera abbiamo trascorso indimenticabili momenti nella tenda mensa. Insieme a noi tre alpinisti si uniscono Fida, Hussein (aiuto cuoco) e diversi portatori d’alta quota con i quali abbiamo improvvisato musica dal vivo. Ognuno utilizzava un bidone, una tazza, le mani…come strumenti musicali. Guidati da Hussein tutti insieme abbiano cantato le canzoni popolari di questo Paese. Oltre a socializzare, cantare e suonare diventano anche un buon sistema per combattere il freddo e facilitare così la digestione. Quando il tempo è decente si scorgono elicotteri militari in volo poiché lungo tutto il Baltoro esistono piccole basi militari, ad esempio la via di salita più semplice per l’Hidden Peak non è transitabile in quanto zona militare.


21/07/98

Anche se il tempo non si è stabilizzato, si parte comunque poiché sono trascorsi sei giorni di riposo al campo base e il clima all’interno del gruppo è teso. Pur procedendo ad una velocità moderata e fermandoci per qualche foto, impieghiamo per giungere al campo I, 3 ore e 40 minuti contro le 5 ore e 50 minuti della volta precedente, segno del netto miglioramento del nostro fisico in termini di adattamento alla quota. Nevica di nuovo e siamo un po’ tutti nervosi nelle tende del campo I. Angelo afferma che se domani il tempo non migliora lui scende. Micael, ragazzo simpatico e affabile, anche se sostiene il contrario emula qualsiasi scelta che Angelo effettua. Io resto in silenzio!


22/07/98

Tempo migliore, si sale! Il pendio è veramente inclinato. Questo tratto viene denominato “banana” per la caratteristica forma che assume. Da questo momento le nostre strade si dividono poiché i miei compagni nel tardo pomeriggio, dopo una doverosa cura alimentare, tenteranno direttamente la vetta a partire da quota 6500 metri del campo II, prevedendo così di camminare per tutta la notte e parte del giorno successivo. Io non me la sento per cui salirò domani al campo III posto 450 metri più in alto.


23/07/98

La sequenza dei pendii che portano al campo III è ancora notevole ed arrivo alla meta veramente esausto. Pensando che mi trovo “solamente” a 6950 m mi sento uno straccio! All’interno della tenda ritrovo con grande sorpresa Angelo e Micael. Sono esausti, hanno trascorso la notte sprovvisti di sacco a pelo. Hanno sospeso il loro progetto ed intendono ora scendere al campo II per rifocillarsi e dormire al fine di recuperare energie. Vengo così a trovarmi da solo a 6950 m!


24/07/98

Nonostante la quota dormo bene. Purtroppo questa notte sono caduti 60 cm di neve fresca, in ogni caso mi accingo a scendere.

Sono preoccupato di non essere sceso con Angelo e Micael e ho paura delle possibili slavine che si possono formare durante la mia discesa. Giunto a 50 metri dal campo II, una fitta nebbia mi impone una sosta obbligata visto che la zona è ricca di crepacci. Mi fermo in attesa di una schiarita. Trascorsa una mezz’ora, finalmente il cielo si apre un poco. Dall’alto scorgo il campo II e due portatori, a cui faccio cenno di aiutarmi per uscire da questo labirinto di ghiaccio. Con generosità uno di loro mi viene incontro segnalandomi la direzione giusta e consentendomi di giungere indenne al campo. Qui trovo nuovamente Angelo e Micael a cui racconto l’accaduto e chiedo se vogliono scendere con me visto le pessime condizioni climatiche. Decidono di attendere lì due giorni un miglioramento. Io proseguo la mia fuga dalla montagna, solamente al campo I mi sento più tranquillo. Qui rivedo con piacere il gruppo dei francesi, vicini di casa al campo base. Ci mettiamo d'accordo per scendere insieme in cordata al campo base domani.


25/07/98

Il cielo è sereno ma scendere è la cosa più sensata, troppa neve in alto e solo al campo base potrò riprendere le energie. Nel tragitto incontro i quattro americani del nostro gruppo, determinati nel loro tentativo di salire in vetta. Sono suddivisi in due sottogruppi: Erik e John, i più giovani, e Bill insieme a Karl. Racconto loro, per quello che la barriera linguistica permette, i fatti più salienti accaduti nei giorni precedenti e conseguentemente la mia decisione di riprendere nuove energie al campo base. E’ ancora mattina presto ma appena vedo Fida gli chiedo di cucinarmi un piatto di pasta, è la migliore medicina! Giornata di completo benessere che mi ritempra notevolmente. Pensavo di restare due giorni, ma il tempo stringe e il 2 agosto dovrò abbandonare il campo base poiché scade il permesso di ascensione. Inoltre convengo che è buona cosa unirmi al gruppo degli americani più giovani con i quali ritengo di avere buone possibilità di successo e che, come me, utilizzano il sistema di salita tradizionale a campi alti.


26/07/98

Mi sento in forma e velocemente con un’unica sosta al campo I per un piatto di pasta, mi porto al campo II. Il mio fisico si sta abituando a vivere a queste quote elevate. Ritrovo gli americani stupiti nel rivedermi a cui spiego la mia idea di unirmi a loro, mi rivolgo ai più giovani poiché hanno più possibilità di giungere in vetta. Possiedono una piccolissima tenda, che dal mio punto di vista è poco adatta alle rigide temperature in quota e molto scomoda per le dimensioni. Io gli propongo di utilizzare quella che ho in dotazione a tre posti, molto comoda e moderna e che potremo portare in tre poiché è costituita da telo, sotto telo e stecche.

Acconsentono immediatamente e, con un gemellaggio Italia – U.S.A., si forma il nuovo gruppo spedizione: Erik, John ed io!


27/07/98

Sistema singolare quello degli “amici” americani, capaci di farmi stare sempre davanti a tracciare nella neve fresca! Pensavamo di portarci direttamente al campo IV ma la troppa neve caduta da poco ci consiglia di procedere per gradi.


28/07/98

Nel tragitto verso il campo IV, ci sono tratti con difficoltà di misto che in assenza di presenti corde fisse creerebbero non poche difficoltà. Giunto al campo lo spettacolo è agghiacciante. Sono visibili i resti di oltre dieci tende distrutte dal vento; bombole di ossigeno sono sparse ovunque, per non parlare delle confezioni di alimenti disseminate in ogni dove. Il vento è fortissimo e i miei compagni sono ancora lontani. Sono stanco ma per combattere il freddo inizio a preparare almeno la piazzola per la tenda, che da solo non potrei comunque piazzare visto il forte vento. L’attrezzatura non mi manca, trovo una pala per scavare e alcuni picchetti in alluminio che serviranno per ancorare la tenda. Raccolgo anche il cibo che metto in un sacco, verrà utile in seguito. Finalmente giungono gli americani contenti del mio lavoro e della piazzola scavata. Completiamo l’opera sistemando la tenda, ne troviamo ricovero cercando di rimetterci in forma per lo sforzo finale.


29/07/98

I miei soci la sera precedente hanno manifestato l’intenzione di partire di buon ora, a differenza loro io decido di non partire presto principalmente a causa del troppo freddo e poi perché non intendo nuovamente battere la traccia nella neve anche per loro! I furboni si svegliano alle 3.30 e partono con me alle 7.30. Durante il tragitto però, forse comprendendo la questione, mi danno il cambio a tracciare nella neve fresca. Il percorso attraversa inferiormente la parte rocciosa della vetta per portarsi ad un colletto. Qui il vento fa paura e pensiamo quasi di rinunciare. Ma è John che insiste nella speranza che sull’altro versante la situazione sia migliore. Infatti sull’altro lato il vento è più quieto e non ci rimane che superare questa enorme dorsale di neve a 40°, la quale termina su una cresta assai affilata che in pochi metri porta in vetta. Lì giungo per primo. Emozione fortissima, ma anche grande confusione, non mi rendo ancora conto di essere sopra ad un ottomila. Il sogno di tanti anni si è avverato! Poi arrivano i compagni e così ci abbracciamo. Devo ammettere che un momento del genere mi sarebbe piaciuto dividerlo con gli amici delle gite in montagna nella mia Valsesia, ma non si può avere tutto nella vita. Sono rimasto circa un’ora in vetta e grazie alla temperatura sopportabile mi è sembrato di trovarmi in paradiso! Mi è costato tanta fatica, forse un po’ di Flavio è rimasto su questa montagna!

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Flavio Facchinetti

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