MARATHON DES SABLES
MARATHON DES SABLES (MAROCCO, marzo - aprile 1998)
E’ una competizione unica nel suo genere, una corsa che si svolge nel deserto del Sahara marocchino, a tappe ed in autosufficienza alimentare. Il percorso si svolge in un ambiente avverso, dove terreno disagevole e temperature elevate sono le principali difficoltà.
Da qualche anno desideravo effettuare un trekking nel deserto, ma i problemi organizzativi sembravano insormontabili per il problema dell’approvvigionamento dell’acqua e di sicurezza in caso, ad esempio, di cattivi incontri con animali velenosi: ragni, serpi e scorpioni.
Sono venuto a conoscenza dell’esistenza della Marathon des Sables: qui l’acqua è fornita dall’organizzazione e in caso d’estremo pericolo un elicottero è pronto ad intervenire. Resta in ogni modo intatto il rapporto con il deserto e la possibilità di viverlo in maniera profonda.
Il regolamento che occorre osservare per partecipare alla M.d.S. e non incorrere a squalifiche o penalità è molto severo, come del resto i controlli effettuati prima e durante la gara ai materiali contenuti nello zaino. Innanzitutto occorre portare al seguito una serie di materiali obbligatori: sacco a pelo, lampada con batterie di ricambio, bussola, accendino, coltello, sali minerali, antisettico cutaneo, pompa succhia veleno, fischietto, specchio di segnalazione, telo termico e un razzo di segnalazione, che è fornito dall’organizzazione. Inoltre occorre avere alimenti che abbiano un apporto energetico di almeno 2000 calorie al giorno, per tutti i giorni della gara. Io ho utilizzato pasti liofilizzati, cioè ottenuti da un processo d’essicazione che presenta numerosi vantaggi: riduzione del peso dell’80%, minimo ingombro, principi attivi inalterati e soprattutto preparazione assai semplice: basta infatti aggiungere acqua calda direttamente nelle buste, che diventano così i contenitori in cui mangiare. Per resistere ad uno sforzo di questo genere e protratto nel tempo, sono in ogni caso importanti anche gli apporti forniti dal formaggio grana, dall’olio extra-vergine, dalla frutta secca, dalle barrette energetiche, dalla marmellata e dai sali minerali da aggiungere all’acqua. Nel deserto è fondamentale essere leggeri. Il mio zaino è di circa 9 kg acqua esclusa, quello di alcuni atleti che puntano alla vittoria è inferiore ai 6 kg. Il regolamento prevede un peso che varia dai 5 ai 15 kg. Giornalmente si ha diritto a circa 9-10 litri d’acqua che vengono distribuiti un po’ alla partenza, nei vari punti di controllo lungo il percorso distanti in media 10 km e un po’ all’arrivo della tappa. Solamente in seguito alla conclusione della prima tappa, ne ho utilizzata un po’ per lavarmi, poi come del resto gli altri concorrenti esclusivamente per bere e cucinare. Per non incorrere nel pericolo della disidratazione occorre bere continuamente senza attendere lo stimolo della necessità, aggiungendo i preziosi sali minerali.
La sveglia è alle ore 6.00. Gli addetti dell’organizzazione a quell’ora passano a togliere il telo-tenda, costituito da sacchi cuciti tra loro a mò di tenda berbera, lasciandoci in balia dell’aria gelida mattutina. Con fornello a pastiglie di tipo militare, assai leggero, preparo la colazione a base di cereali. La partenza è intorno alle ore 9.00, nell’attesa ci si dedica alle cure mediche delle proprie ferite. La Francese Atlantide Organisation promotrice di questa competizione fornisce: acqua, telo per dormire e assistenza medica. All’arrivo di ogni tappa è presente una tenda in cui medici e infermieri prestano soccorso. Essendo elevato il numero di atleti che richiedono cure mediche, spesso vengono curati solamente i casi gravi, mentre agli altri vengono consegnati bende e farmaci ed occorre arrangiarsi. Nelle situazioni più disperate un elicottero è sempre pronto ad intervenire e portare quindi i feriti all’ospedale. Nei vari punti di controllo, mentre avviene la consegna dell’acqua e un rapido controllo delle condizioni fisiche degli atleti, c’è la possibilità di ripararsi dal sole.
Nel mio caso ho avuto problemi alla schiena e sotto le ascelle, dovuti allo sfregamento dello zaino, all’inguine, per attrito con i pantaloncini e ai piedi, i più penosi e ogni giorno più brutti dal momento che la sabbia entra nelle scarpe e funge da abrasivo poi con l’aiuto del sudore, ora dopo ora, consuma i vari strati dell’epidermide entrando nel derma. Alcuni atleti sopperiscono al problema utilizzando ghette simili a quelle da montagna che impediscono alla neve di entrare negli scarponi. Partito con l’idea di prendermela relativamente comoda, ho subito compreso che gli atleti più svantaggiati sono i più lenti, quelli più sottoposti al sole e con meno tempo per riprendersi per la tappa successiva.
Nella prima giornata di gara si corre su una distanza di 24 km. Il cielo è nuvoloso e qualche ora prima della partenza si è messo a piovere. Un clima alquanto anomalo per un deserto, ma si tratta di un'unica eccezione. Per i giorni seguenti ci accompagna un sole infuocato con temperature sempre più alte. Nella quinta tappa si sono superati i 45°C a detta di alcuni giornalisti.
Ai vari campi sotto ogni telo si trova un gruppo di 10 atleti; è con i propri vicini di tenda che nascono le amicizie. La maggior parte di questi atleti sono maratoneti ma si possono conoscere persone tra le più particolari. Nel mio gruppo sono presenti tre atleti di triathlon, un velista con esperienza di traversate oceaniche, vari maratoneti e un alpinista. Durante la notte il freddo intenso rende appena sufficiente il sacco a pelo in piume d’oca, un modello ultra-leggero che di conseguenza ha i suoi limiti termici. La M.d.S. ha un percorso complessivo di 229 km. Quest’anno le sei tappe sono rispettivamente di 24, 37, 36, 76, 42 e 14 km. Oltre alle temperature proibitive anche il fondo del terreno – dune sabbiose, talvolta ricoperte da pietrame – ha creato ulteriori difficoltà.
L’organizzazione fornisce un “road book” che indica direzioni da seguire e tipo di terreno da affrontare che viene consegnato solo ad inizio tappa per rendere segreto il percorso.
Ogni giorno, chilometro dopo chilometro, un po’ correndo, un po’ camminando, si impara a conoscere questa gara e si capisce perché sia unica. Il deserto riesce sempre a stupire per la varietà di paesaggi: meravigliose dune che rivestono i fianchi delle montagne simili a nevai, un lago prosciugato che i miraggi trasformano in un’enorme pozza d’acqua e di notte quelle stelle luminose come in nessun altro posto al mondo.
Il campo è come un piccolo villaggio diviso in due parti distinte: tende bianche per lo staff organizzativo, tende nere per gli atleti. E’ assolutamente vietato recarsi nella zona bianca.
La tappa non stop di 76 km è a dir poco massacrante, specialmente dopo aver già percorso un centinaio di km. E’ il momento in cui ci si domanda: “chi me l’ha fatto fare”. Le forze fisiche vengono a meno ed a un certo punto si procede per forza di volontà ed inerzia. Percorsa totalmente con Roberto arriviamo a notte fonda, attraversando nel tratto finale enormi dune che causano un enorme dispendio di energie e difficoltà di orientamento. Sicuramente i km sono risultati superiori a quelli del tracciato di gara. In questa tappa i più festeggiati sono gli ultimi arrivati e questo sottolinea lo spirito sportivo della competizione.
ULTIMA TAPPA
Nottata infernale! Il materassino è forato e appoggiare gli arti inferiori sul duro terreno è una sofferenza continua. Penso di essermi girato su me stesso qualche centinaio di volte trascorrendo una notte quasi insonne. Meno puntuali del solito gli addetti tolgono il telo che ci sovrasta. E’ giorno!
Tutti gli atleti trafficano con fornelli o piccoli fuochi ottenuti dalla combustione di arbusti trasportati dal vento. Il fine è comune, preparare la colazione. Sono persone appartenenti ad una trentina di nazionalità differenti e tra i 500 partecipanti di questa, che è la tredicesima edizione, 60 circa sono italiani. Le partenze di questa mattina saranno scaglionate: gli ultimi sessanta in classifica partiranno un’ora prima. Rimangono solo 14 km da percorrere, ma sono pochi i partecipanti ad non avere problemi fisici, specialmente agli arti inferiori. Mi accorgo di non riuscire a camminare, zoppico esageratamente. Inoltre i piedi gonfi non entrano nelle scarpe. Sono preoccupato! Resto seduto per terra inerte, aspettando chissà quali cambiamenti.
E’ partito il primo gruppo e tra un’ora sarà il mio turno. Guardandomi intorno scorgo molte persone con problemi analoghi e ancora più triste è la presenza di quelli che per motivazioni diverse hanno dovuto interrompere la gara. Alcuni di loro hanno richiesto di poter correre l’ultima tappa in maniera simbolica ma gli è stato negato, il regolamento parla chiaro!
Penso a Riccardo che ha rischiato un collasso, conseguenza di una forte disidratazione; ad un ragazzo di Napoli dilaniato dalla dissenteria causata da un allergia ai prodotti liofilizzati, Anna colpita da una microfrattura ad una gamba…sono più di sessanta le persone non giunte al traguardo! Tutti i miei pensieri si annullano, i concorrenti vengono richiamati sulla linea di partenza. Tolgo le stringhe dalle scarpe e con fatica ed estremo dolore infilo i piedi. Avrei dovuto acquistarle di un numero più grandi, ma non ho molta esperienza in corse estreme nel deserto. Allaccio le stringhe e zoppicando mi porto in zona partenza. Viene dato il via.
Un primo tentativo di correre lo interrompo dopo un centinaio di metri sopraffatto dal dolore. Provo a camminare ed è ugualmente un disastro. Determinato stringo i denti e nuovamente riprendo a correre. Il dolore mi accompagna, ma devo abituarmi a convivere con esso. La forza che mi permette di compiere questo enorme sforzo è sapere che questi saranno gli ultimi quattordici km, il termine di questa grandiosa avventura.
Mi sto allontanando dal deserto, quel deserto con cui ho vissuto intensamente per sei giorni. Incontro i primi villaggi con persone incuriosite che mi incitano ai margini della strada. I ragazzini ne approfittano per le solite richieste: matite, vestiti, borracce, soldi…richieste comprensibili dove povertà e miseria sono di casa. Questi piccoli avvenimenti riescono a distrarmi dal mio dolore. Come un miraggio compare l’asfalto, è il segnale che mancano meno di sette km all’arrivo. Continuo a correre spostandomi sul margine sterrato, fa meno male ai piedi. Compaiono i primi mezzi di trasporto: autocarri, biciclette, motorini…e in lontananza il profilo di una città: Rissani! Sono riuscito a mantenere un andatura costante ma l’incitazione di un distinto Signore: “mancano due km” mi invita a forzare l’andatura. Attraverso l’arco di ingresso della città, ai lati della strada c’è moltissima gente ed un atmosfera di festa. Al momento di passare la linea di traguardo sono solo e mi infilano una medaglia al collo. Ha un aspetto orribile, di basso valore commerciale, ma per me e tutti quelli che hanno portato a termine questa avventura ha un significato profondo. Dal mio volto scendono due lacrime che i grossi occhiali da sole nascondono, sono l’espressione estrema dei miei sentimenti.
Flavio Facchinetti