CAMMINO DEGLI INCAS 1994

CAMMINO DEGLI INCAS


Sono trascorsi quattro anni dall’ultimo viaggio che feci in Scozia con mio fratello. Poi la decisione di iscrivermi all’università alla facoltà di scienze naturali come studente lavoratore e l’impegno che ne conseguì provocarono una brusca interruzione alla mia passione preferita: “viaggiare”. Questa parola per me ha mille significati, è un modo, un’opportunità di vedere, conoscere, crescere, ampliare le proprie vedute, uscire da schemi che prevedono la finalità della nostra esistenza legata quasi esclusivamente a questioni materiali. Troppo spesso siamo obbligati a vivere in funzione dell’apparire agli altri, a recitare un ruolo, una parte. Gli anni passano e l’aumentare dei nostri impegni sociali, ma soprattutto verso le persone più vicine a noi, la famiglia ad esempio, non ci consente di vivere la nostra vita da protagonisti.

Forse quest’amore che coltivo da anni è solo un modo per fuggire dalla realtà, una sorta d’egoismo. In questi quattro anni di pausa la vita, se pur difficile sotto il profilo economico (affitto, luce, riscaldamento…) ed universitario (tasse, studio…), mi ha consentito, riprendendo in mano i libri, di risvegliare alcuni aspetti della mia persona, cambiandomi profondamente.

Il fatto di non aver conseguito una laurea è del tutto marginale, questi anni sono stati un investimento per il mio futuro, non per una possibile occupazione redditizia o per nozionismo scientifico bensì un catalizzatore per la mia crescita interiore.

L’obiettivo di questo viaggio è conoscere le antiche popolazioni precolombiane che vivevano negli attuali Perù e Bolivia. Al mio fianco Raffaella, una ragazza che frequento da diversi anni e con cui ho instaurato un rapporto di profondo affetto e penso d’amore. Sicuramente nella mia vita non ho mai avuto un rapporto così duraturo e di rispetto reciproco come quello attuale. Purtroppo tra noi è scattato un momento di profonda crisi: questo viaggio spero ne sia il medicamento, il farmaco che rimargina la ferita.

Utilizzando la compagnia aerea russa Aeroflot, potremo trascorrere due giorni a Mosca. Sono contento di questa possibilità ulteriore, anche se devo ammettere del tutto casuale, conseguenza della ricerca di un biglietto aereo il più economico possibile.

Mosca è una città affascinante. Forte è l’emozione di percorrere a piedi la Piazza Rossa e avvicinarmi al Mausoleo ed al Cremlino. Raffaella è colpita dall’imponenza della cattedrale di San Basilio con le sue cupole colorate e ben modellate. All’interno del Cremlino affascina l’enorme complesso a corona delle cinque cattedrali, due delle quali progettate da architetti italiani.

Ma a Mosca non ci sono solo cose belle; appena ci allontaniamo di poche centinaia di metri dal centro compare la miseria: edifici in rovina, barboni, disadattati …

È una situazione nuova ed in evoluzione. La trasformazione dell’U.R.S.S. in stati indipendenti a sviluppo capitalistico ha portato ricchezza ad alcune persone ma non certamente alla gran parte della popolazione che sta pagando in prima persona la “democrazia”.

Utilizzare la compagnia aerea Aeroflot ci costringe a sostare a Shannon in Irlanda e a Cuba, tenendoci impegnati per un totale di ventitré ore da Mosca a Lima, capitale del Perù.

All’aeroporto di Lima, passato l’ultimo controllo doganale, stiamo per uscire quando si avvicina a noi una persona che ci saluta in tono familiare, Raffaella lo riconosce subito: è il signor Ernesto Torchio, italiano oriundo d’Agnona, che vive a Lima, al quale avevamo segnalato con una lettera la nostra decisione di visitare il Perù.

Siamo stupiti di vederlo poiché non era a conoscenza del volo con cui saremmo giunti. Insieme a lui la figlia Carla, ragazza giovane e simpatica. I due ci portano nella loro abitazione per conoscere il resto della famiglia: la mamma Vittoria, la moglie Claudia e la seconda figlia Daniela. Una calorosa accoglienza e grande disponibilità. Con loro si parla dell’itinerario progettato, dell’alimentazione peruviana, dei problemi politici di questa sfortunata nazione e della precaria salute della signora Claudia che è in attesa di un delicato intervento chirurgico. In seguito Ernesto e Carla ci accompagnano a visitare la piccola azienda di loro proprietà dove con entusiasmo Ernesto ci spiega le varie fasi di lavorazione con cui riesce a ricavare innumerevoli oggetti in ferro plastificato: appendiabiti, scolapiatti, portabicchieri ed espositori vari. Lasciato Ernesto al suo lavoro, con Carla visitiamo la città ed in special modo il quartiere Miraflores, forse il più frequentato dai giovani poiché il più moderno.

Lima è una città molto caotica, con i suoi dieci milioni di abitanti e servizi pubblici (acqua, luce, fogne…) adatti a servirne tre. Si estende longitudinalmente per circa centoquaranta chilometri ed è affacciata all’oceano Pacifico. Tra i particolari che immediatamente saltano all’occhio a noi occidentali è la precaria condizione degli autoveicoli che numerosissimi circolano per le strade, sprovvisti di luci, indicatori di direzione (non obbligatori, poiché il codice stradale prevede l’utilizzo del braccio fuori dal finestrino come segnalatore), paraurti ed interi pezzi di carrozzeria. Numerosi sono i taxi, tutti o quasi abusivi, ed i “colectivos” (pulmini per il trasporto di persone).

In questa città si riesce comunque a reperire tutto quello che si trova in una città occidentale. Avendola visitata per poche ore, mi astengo da ulteriori commenti in previsione di visitarla meglio al ritorno dal nostro giro. Abbiamo comunque il tempo di acquistarci un maglione d’alpaca, di andare a trovare Daniela nella nuova abitazione, poiché da poco si è sposata, e verso sera di uscire a cena con la famiglia Torchio.

Dopo un caloroso arrivederci, mediante un “rottame” con una piccola scritta che lo qualifica come taxi, ci rechiamo all’aeroporto dove trascorriamo la nottata per poi prendere l’aereo per Cuzco, alle sei del giorno seguente.

Cuzco è la città più turistica del Perù e, con i suoi 180.000 abitanti, è situata a quota 3.400 metri. Siamo in alta stagione e trovare una camera in qualche hotel o pensione è assai problematico. Facciamo conoscenza con un locale, il signor Francisco Camero, che sembra una brava persona e si rende disponibile per aiutarci. Grazie alla sua collaborazione, non disinteressata, troviamo un posto letto e definiamo con una piccola agenzia le visite dei siti archeologici più importanti della zona.

Nel primo giorno di permanenza visitiamo le rovine di Sacsaywamàn, sede di una fortezza Inca con tecnica costruttiva tradizionale incaica: grossi blocchi che s’incastrano l’uno sull’altro in maniera perfetta senza uso di materiali leganti; le rovine di Kenko (tempio ed anfiteatro), Puca Pucara e Tambo Machay, residenza estiva del Re Inca; inoltre, sempre accompagnati da una guida esperta e simpatica, visitiamo la Cattedrale e Santo Domingo.

Nella seconda giornata vediamo il mercato indios di Pisac, le rovine di Ollantaytambo, a 70 chilometri da Cuzco, con i suoi terrazzamenti ad uso agricolo e le fortificazioni nelle quali l’Inca Manco condusse l’ultima resistenza agli spagnoli guidati da Pizarro e per finire il villaggio tranquillo e caratteristico di Chinchero. Giornate intense ed appaganti.

Per quanto riguarda il trekking del “cammino degli Incas”, sentite le varie offerte delle numerose agenzie di Cuzco accettiamo la proposta della “Inner Perù”: 50$ a persona che comprendono il viaggio di andata e ritorno al luogo di partenza del trekking, l’utilizzo di una tenda e di materassini trasportati da portatori, il biglietto d’ingresso all’area archeologica di Machu Picchu ed una guida. Per il cibo siamo autosufficienti poiché data la mia condizione di vegetariano, per sicurezza, ho portato alimenti dall’Italia; i nostri zaini sono piuttosto pesanti perché affardellati con pentole, bombolette, fornellino… ci dà forza il fatto che nei giorni a venire, mangiando, ne alleggeriremo il peso.

Occorrono cinque ore di viaggio assai scomodo per giungere al chilometro 82 della ferrovia, dove inizia il nostro trekking.

Nel pulmino siamo ammassati come in un carro bestiame. Arrabbiarsi non serve a niente! Ormai è tardi!

La nostra guida ecuadoriana Hota Hota, anche se ho forti dubbi sulle sue qualità alpinistiche, è per altro una persona simpatica, cordiale e festaiola, insomma un “buontempone”. Durante il cammino c’insegna a masticare le foglie di coca avvolte ad una pallina nera di cenere: questa droga anestetizza parte dell’apparato masticatore; prolungandone l’uso, l’effetto si estende all’esofago, allo stomaco…consentendo di non provare freddo, fame e fatica. Ancora oggi i peruviani ne fanno un largo consumo, specialmente coloro che devono praticare lavori faticosi.

Il percorso del primo giorno presenta un andamento lieve e quasi pianeggiante. Dopo un paio di soste giungiamo al villaggio di Wayllabamba (3.000 metri), qui trascorriamo la prima nottata. In questa giornata abbiamo avuto modo di osservare alcune bellissime rovine pre-incaiche situate nella parte opposta della valle che stiamo percorrendo, bagnata dal Rio Urubamba. Nel primo tratto di cammino per poter attraversare questo corso d’acqua, data l’assenza di ponti, abbiamo utilizzato un carrello appeso ad una fune metallica. Il movimento del carrello è possibile grazie allo sforzo muscolare di un giovane peruviano posto dall’altra parte del fiume. Un lavoro come un altro!


Sabato 6 agosto 1994

Oggi è la giornata più faticosa poiché dovremmo sormontare il passo di Warmiwanunca posto a 4.200 metri. Stiamo cominciando a conoscere tutti i componenti della compagnia, è un gruppo veramente assortito: cinque italiani (noi due più tre ragazzi di Torino), due peruviani, due israeliani, due olandesi, due svizzeri, due austriaci, quattro portatori e la guida. Tutti giovani dai 22 ai 30 anni, con grande spirito di adattamento.

L’accentuata pendenza sommata all’effetto quota ci obbliga a procedere molto lentamente ma riusciamo comunque in maniera dignitosa a portarci sul colle. Discorso diverso per alcuni componenti del gruppo che arrivano dopo qualche ora. Aspettiamo insieme alla guida l’arrivo di tutti, anche per decidere dove sostare per la notte. Su suggerimento di Hota Hota tenteremo di arrivare al sito archeologico di Runkuraqay, situato a circa metà strada, per giungere al secondo passo omonimo ed alle rovine poste a 3.800 metri.

Un’oretta per raggiungere il fondovalle ed altri quaranta minuti di salita. Proprio all’interno delle rovine montiamo le tende ma non è una buona idea poiché un forte vento ci obbliga a mangiare frettolosamente e a chiuderci dentro di esse.


Domenica 7 agosto 1994

Classica sveglia alle 6.00, colazione abbondante ed eccoci pronti per una nuova sgambata. Altri quaranta minuti e siamo sul colle dove Hota Hota ci indica la presenza dell’accesso ad un’antica galleria sotterranea che probabilmente conduceva a Machu Picchu. Su questa ipotesi nutro forti dubbi, perché siamo ancora troppo lontani dalla città. La discesa si presenta ripida e la mulattiera è costituita da gradini molto alti che rendono il cammino decisamente scomodo. Ad un certo punto occorre deviare a sinistra per raggiungere il sito archeologico di Sayamarca, un cartello indicatore ed un’erta scalinata permettono di non sbagliarsi; queste sono le rovine più interessanti incontrate durante il cammino. La nostra guida si rende utile e spiega parte dei misteri che circondano quest’antica civiltà: gli Incas. Sono spesso supposizioni, ipotesi, poiché poche informazioni certe si conoscono su questo popolo, sulle sue usanze e sulla sua vita.

Ora ci attende l’ultimo colle che fortunatamente è meno insidioso, il suo nome è Phuyupatamarca ed è situato a 3.600 metri. Dal punto di vista naturalistico–ambientale è questo il tratto più affascinante, specialmente per la comparsa di una rigogliosa vegetazione: la mulattiera diventa più elegante e curioso risulta un tunnel scavato nella roccia.

Pochi metri sotto il colle è presente una fortezza Incas e vederla dall’alto ci regala un bellissimo colpo d’occhio. Nei pressi delle rovine c’é una fontana ed una sequenza di vasche di canalizzazione. In questo posto divino sostiamo a pranzare e a lavarci nell’acqua della purissima fonte. Altre tre ore di cammino in accentuata discesa ed eccoci a Winay-Wayna. È un posto tappa obbligato; esiste un rifugio dove regnano sporcizia e caos. Per quest’ultima nottata è il nostro turno dormire in una piccola e scomoda tenda canadese, d’altra parte i portatori si sono adattati a situazioni peggiori.

Riflettendo ora su questi giorni devo prendere atto che non abbiamo potuto socializzare con i compagni di viaggio non tanto per la lingua ma per il fatto che durante il cammino ognuno ha proceduto a seconda del proprio passo, più o meno veloce e più o meno costante.


Lunedì 8 agosto 1994

Stamane ci siamo svegliati molto presto per poter arrivare a Inti Punku (porta del sole) prima dell’alba. È un luogo situato a 2.700 metri e consente una vista eccezionale di Machu Picchu. È questa una città quasi inaccessibile poiché domina precipizi che raggiungono i 300 metri di profondità; non fu scoperta dagli spagnoli bensì dal professor Hiram Bingham solamente nel 1911. La sua storia è avvolta nel mistero: al momento della scoperta fu trovata nelle stesse condizioni in cui gli abitanti l’avevano abbandonata, per cui offre un’immagine reale della tradizionale residenza Inca.

Circondata da possenti muraglie in pietra, la città presenta un ingresso anch’esso in pietra. All’interno un enorme complesso di costruzioni: santuari, templi, palazzi, piazze, nuclei residenziali, aree adibite al commercio ed un complesso sistema di bacini d’acqua, il tutto posto su vari piani terrazzati sistemati a varie altezze e collegati da scale sempre in pietra. Quasi tutte le mura perimetrali dei vari edifici sono intatte, sono invece scomparsi i tetti, generalmente fatti con erbe fittamente intrecciate e resistenti.

Ma Machu Picchu è molto più che un insieme di costruzioni; la fortuna di esserci trovati lì nelle prime ore del mattino, prima dell’arrivo dei turisti che vi accedono con mezzi a motore, ci ha consentito di gustarne appieno l’atmosfera surreale e immergerci nell’antico e magico mondo degli Incas.

Spesso nella vita si rimane delusi dalla realizzazione di qualche desiderio. Io sognavo di vedere Machu Picchu da diversi anni ed è stata una sorpresa ben migliore delle aspettative!


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Flavio Facchinetti