2002 - TREKKING CAMPO BASE EVEREST (Nepal)

NEPAL, tocchiamo il cielo


E’ il mese di marzo e periodo pre-monsonico, stagione ideale per volare in Nepal. Dal Sudafrica con una lunga rotta eccoci atterrare a Khatmandu, il taxista ci aggiorna circa gli ultimi problemi politici e i conseguenti conflitti interni che investono tutt’ora qualche area del Paese, a causa di ciò il mercato del turismo, dei trekking, delle spedizioni di alta quota ha subito una battuta d’arresto, con tutte le conseguenze che ne derivano per chi vive grazie alla presenza di stranieri a caccia di sogni e di alte cime.

Khatmandu altro non è che un enorme e caotico paesone dalla pregnante puzza di gas di scarico delle vetuste auto circolanti. Pernottiamo nel Tamel, praticamente una città nel cuore della città di Khatmandu, covo di turisti, viaggiatori “zainoinspalla”, alpinisti, trekkers, una sorta di Khao San Road nepalese e come la sua corrispondente thailandese brulicante di guest house, hotel, ristoranti, agenzie turistiche, negozi di souvenirs e di abbigliamento da montagna più o meno contraffatto. In attesa di volare tra le montagne, ci procuriamo così l’abbigliamento necessario di buona fattura ma rigorosamente made in china, ideale per un semplice trekking, un po’ meno per una spedizione alpinistica di alta quota e il materiale necessario oltre che i biglietti aerei per il volo interno sino a Lukla, località di partenza dell’agognato trekking al campo base dell’Everest.

Si vola a vista, sul piccolo velivolo della Skiline è fondamentale sedersi a sinistra per ammirare una buona parte della catena Himalayana in tutta la sua grandiosità. Il piccolo villaggio di Lukla è splendido, ordinato, pulito, pullula di alberghetti e guest house. Dobbiamo contattare subito un portatore, magari colloquiando con diverse persone sino alla scelta finale. Usciti dalla pista di atterraggio ci viene incontro uno sherpa che si offre come guida o portatore. Il volto del nepalese ispira fiducia e serietà. Breve colloquio per stabilire cifre, modalità e itinerario e Dibi viene ingaggiato. Sostiamo nella sua abitazione dandogli modo di raccogliere l’abbigliamento necessario a contrastare il clima rigido delle quote più elevate quindi partiamo immediatamente. La tappa di oggi, dai 2850 metri di Lukla ai 2660 metri di Phakding è breve e ci tiene impegnati per sole due ore. Il percorso è costellato di lodge, alberghetti, ristorantini che lasciano intendere quanto sia intraprendente il popolo nepalese e solerte a fruttare l’elevato flusso escursionistico, certo in questo periodo di instabilità politica noi ne godiamo i vantaggi visto che a tanta offerta corrisponde davvero poca domanda!

Tantissimi sono i portatori che da Lukla si inerpicano sin verso Namche Bazar, il paese più importante che si incontra lungo il tragitto o fino ai ben più alti villaggi di Tengpoche, Periche o Lobuye. Non esiste una strada, solo un sentiero percorso a piedi e tutto è portato a spalla da questi stupefacenti uomini dalla figura esile ma dall’incredibile forza; generi alimentari, legno da costruzione, oggetti per la casa, cosa non abbiamo visto caricato sulle ossute spalle di queste persone! Un valido aiuto è dato dall’utilizzo degli animali, in particolare dzopkyo ibridi maschi di yak e mucche, vera risorsa per le genti di montagna, oltre a servire come animali da soma producono vello, ottimo latte mentre il loro sterco seccato diventa ottimo combustibile. 

E’ con la notte che realizziamo meglio la portata di questa nuova esperienza, il primo freddo, i pensieri e le preoccupazioni, lo scarso allenamento fisico non ci fanno stare tranquilli, del resti le dimensioni delle montagne, delle vallate, l’altitudine….sono tutte caratteristiche ben diverse rispetto alle famigliari Alpi.

Camminiamo attraverso boschi di conifere, attraversiamo gelidi torrenti su passerelle di acciaio, piccoli gruppi di case si alternano a campi di patate e di cavoli che a fatica gli indomiti nepalesi strappano ad una natura tanto severa. A Jorsale entriamo nel Parco di Sagarmatha, che incluse buona parte della regione del Solu Khumbu. Da poco tempo non occorre più nessun tipo di permesso per effettuare un trekking nelle aree più famose del Nepal, basta pagare gli ingressi dei vari parchi. A darci il benvenuto è la vista del Thamserku, 6618 metri. Il sentiero da pianeggiante che era comincia ad inerpicarsi e con una ripida salita di circa due ore ci conduce a Namche Bazar. Questo villaggio è qualcosa di incredibilmente unico! Incuneato tra due dorsali, rimane protetto dai venti e riceve pienamente i raggi del sole per l’intera giornata. Le case in pietra sono in completa sintonia con l’ambiente circostante e i tetti in lamiera dalle vivaci tonalità regalano al villaggio un’aria fiabesca. Come conseguenza del nostro inesistente allenamento fatichiamo non poco per giungere sino a qui….ma per Dibi è anche peggio! Arriva dopo ben quattro ore e distrutto tra la nostra agitazione e i repentini andirivieni per cercare di scovarlo dietro a qualche curva! Dopo avere ripreso fiato si giustifica dicendo che lui è una guida e non un portatore, che non è abituato a portare pesi ma in questo periodo di crisi e scarso flusso turistico ovviamente si adatta ad ogni situazione.

A Namche Bazar sostiamo due notti in maniera di acclimatarci e di consentire a Dibi una veloce ripresa.

L’indomani ci portiamo nei pressi del piccolo aeroporto privato di Syangboche creato per gli abbienti ospiti del lussuoso Hotel Everest View. Da qui il panorama è grandioso, gli 8848 metri dell’Everest, gli 8501 metri del Lhotse, i 7864 metri del Nuptse e i 6814 metri della superba Ama Dablam si stagliano in un cielo azzurro senza nubi e ci lasciano senza fiato, così come la vista dall’alto dei tetti di Namche Bazar, dei campi coltivati a patate – ottime tra l’altro! – ci accompagna lungo la discesa. Al rientro rincontriamo il nostro portatore risvegliato dal torpore post fatica, ci informa che esiste un coprifuoco notturno ed è vietato quindi lasciare le rispettive abitazioni; in effetti notiamo una forte presenza di militari in assetto di guerra, beh non che siamo usi a chissà quale vita mondana!

Riprendiamo il cammino, parte in piano e parte in discesa, purtroppo per le ginocchia di Stefania. I villaggi si fanno sempre più radi mentre attraversiamo ancora boschi di conifere sino a giungere presso il monastero buddhista di Tengpoche, un’enorme costruzione collocata su un pianoro. Nei pressi ci sono diverse abitazioni e lodge. Impacchi di ghiaccio e spalmate di Fastum Gel attenuano i dolori alle ginocchia. Come al solito, Dibi arriva dopo due orette rispetto a noi, è stravolto, pochi minuti e lo troviamo addormentato sul tavolo! Ci viene il sospetto che possa anche non essere una guida, dopo tutto il suo carico giorno dopo giorno si alleggerisce visto che è costituito unicamente da cibo che quotidianamente consumiano….

~

DAL DIARIO DI STEFANIA……………

LA NOTTE. Ho freddo, ho davvero tanto freddo….ma perché è così freddo in questo Paese? Mi sfuggono frasi che neanche vorrei dire. Entrare ed uscire dal sacco a pelo, questa poi è una vera tortura! Imprigionata in quel budello di pelo d’oca fasciata in calzamaglia e maglietta stile superpippo e stretta tra gli abiti che dovrò indossare domani – eh sì perché se li lascio fuori si gelano – il naso si ghiaccia e dalla bocca esce fumo….. e tutte le volte che mi scappa la pipì che tormento, tiro lungo per un po’ poi cedo: indosso il frontale e zip…veloce fuori dal sacco, mica vorrai andare in bagno fuori dalla micro stanza gelata? Veloce bisognino nella mezza bottiglia di plastica modello pappagallo cercando di centrare il buco e soprattutto di non lavarmi le gambe e veloce dentro il sacco…zip…spegni il frontale, sino alla prossima pipì!!! Ma chi mi lo fa fare? Sempre a seguire Flavio, dovevo dirglielo che non volevo venire..

IL GIORNO. Durante il cammino sono entusiasta, l’abbraccio dei monti, il cielo sempre azzurro, il sole caldo fanno dimenticare la fatica e sento che l’amore per questi ambienti cresce esponenzialmente; per non parlare poi dei momenti dei pasti una vera delizia, trionfo di dhal bat cioè riso e lenticchie, zuppe, patate squisite e dolcetti vari! Penso anche a Flavio, è fondamentale intraprendere un trekking con una persona che condivide gli stessi interessi ed è disposta a qualche sacrificio, io non ho mai vissuto una esperienza così forte, spero di arrivare ai 5545 metri del Kala Patthar, se però non sarà è già così un bel successo! E’ proprio vero ciò che sostiene Flavio, le montagne riempiono la vita, annullano la noia e ci fanno sentire addosso l’entusiasmo dei bambini per tutta la vita!

~

La tappa di oggi scivola via come l’olio! Nonostante l’altitudine giungiamo a Periche, a quota 4240 metri, senza ammazzarci di fatica. Pernottiamo all’Hotel Panorama, dove resteremo per due notti per acclimatarci meglio. E’ gestito da un ex sherpa di alta quota che nel 1993 è salito con una spedizione americana in cima all’Everest, è una persona squisita che ci offre gratuitamente la camera con l’obbligo di consumare tutti i pasti, cediamo volentieri al contratto! Nell’alloggio ci fanno compagnia uno scozzese, due australiani e un tedesco con i quali intavoliamo un mix di chiacchierate ammazza tempo; partecipa ai dialoghi anche Dibi, racconta che è vissuto per ben dieci anni a Khatmandu lavorando come taxista di tuk tuk, certo che ha compiuto una bella svolta magari pilotata dal matrimonio e successiva prole.

La località è situata in una posizione non troppo felice, continuamente battuta da venti gelidi. Ci sforziamo di effettuare piccole passeggiate nei dintorni solo per abituarci anche a condizioni di clima avverso. A Periche è presente un piccolo pronto soccorso per i trekkers che manifestano malori di alta quota, proprio oggi un elicottero del soccorso nepalese ha qui recuperato un escursionista tedesco colpito da edema per portarlo a quote inferiori inoltre corre voce che molti trekkers siano stati colpiti allo stomaco da un potente virus. Tutte queste notizie ci agitano non poco, si aggiunge un freddo notturno davvero feroce, i vetri della camera si contornano di ghiaccio e i bisognini diventano dei veri e propri tormenti!

Di nuovo in marcia, si sale lentamente su una leggera spolverata bianca, questa notte ha nevicato. Il paesaggio diventa sempre più severo, la vegetazione si riduce a piccoli arbusti che rilasciano intensi profumi, il cielo azzurro ci accompagna sino alla meta odierna, il villaggio di Lobuye a 4930 metri e finalmente Dibi riesce a giungere con noi. Questo gruppetto di case rappresenta l’ultima tappa prima di tentare la salita ai 5545 metri del Kala Patthar, meta finale. Pernottamento nell’ennesimo “Panorama view” il cui gestore si sbilancia positivamente circa le condizioni meteo dell’indomani, giorno della salita. L’affermazione incide profondamente sui nostri umori e rifocillati a dovere proseguiamo senza zaini per una mezz’oretta di cammino sino al centro di ricerca italiano, la Piramide, dove con piacere riprendiamo a chiacchierare in madre lingua.

Rientriamo a Lobuye, un leggero mal di testa ci tiene compagnia.

~

DAL DIARIO DI FLAVIO……………

LA CENA. Due traboccanti piatti di pasta condita con olio extra vergine e formaggio grana fumano della minuscola stanzetta, pronti per riempire stomaci affamati sapientemente cucinati con il mio fedele fornellino. Ho mal di testa, forse troppo per mangiare. Una forchettata, due, tre….non riesco a cenare, Stefania per contro avidamente spazzola il piatto con una voracità mai vista, non è da lei – guarda che io domani ci devo salire su quella montagna! – mi dice; io ho mal di testa, troppo e abbandono il campo. Stefania alza lo sguardo – mica vorrai buttare tutto quel ben di Dio? – afferma, e non termina le poche parole che con un veloce gesto di mani sostituisce i piatti e voracemente conclude la cena – altrimenti si raffredda – commenta e satolla mi sorride speranzosa!

~

Nel freddo della stanza vestiti con tutti gli abiti che abbiamo e rintanati nei nostri sacchi a pelo, accompagnati dai propri sogni e dalle proprie ansie cerchiamo di prendere sonno e di trascorrere le poche ore che ci separano dalla meta finale. Ci eravamo accordati con Dibi di partire alle 5.00, ma all’ora stabilita di lui nessuna traccia. Il cielo è stellato e ben coperti il freddo è sopportabile, decidiamo di salire senza di lui, del resto la sua presenza non è necessaria, avevamo comunque deciso di coinvolgerlo. Aiutati dalle luci dei frontali percorriamo il sentiero che sale verso Gorak Shep, ultima tappa dove è possibile prenotare, per noi rimane una piacevole sosta per rifocillarci e bere una tazza di tè caldo. Nel frattempo giunge Dibi, che racconta di essersi addormentato, gli rispondiamo che se ambisce a fare la guida deve cercare di essere più professionale, ma chissà se comprende…

Il momento tanto atteso è arrivato. Il tratto finale è assai ripido ma tutto procede per il meglio. Vediamo il Pumori, che con i suoi 7165 metri ci allieta la salita di questa propaggine, il Kala Patthar appunto, quasi una collina diventata così famosa per la sua fortunata posizione che consente di vedere i maestosi 8848 metri dell’Everest, aspetto impedito al campo base collocato un po’ più in basso. Siamo soli. Tra un affanno e l’altro armati di macchina fotografica e cinepresa immortaliamo questo momento con la consapevolezza di poterlo rivivere a casa, tra l’altro il sole ci scalda e ci incoraggia a rimanere per circa un’ora, tra sorrisi, baci e abbracci, scambi di emozioni. Anche Dibi si mette in posa e chiede di essere fotografato, non si capisce più chi è il cliente e chi il portatore ma è bello così!

Al ritorno sostiamo per un lauto pranzo a Lobuye poi ci rimettiamo in marcia sino al bivio di Duglha, dove lasciamo il percorso seguito all’andata per puntare verso Dingboche. Intanto il meteo cambia, la nebbia ci circonda e piccole raffiche di vento ci ricordano come in montagna in brevi istanti possono cambiare le condizioni climatiche. Il villaggio di Dingboche è posto a 4410 metri lungo una valle secondaria  ed è caratterizzato da un clima mite, nonostante la quota gli abitanti riescono a coltivate oltre che alle solite patate anche l’orzo. All’Hotel Lhotse l’ottima cucina e il calore della stufa sono la maniera migliore per terminare questa lunghissima giornata.

Che dormita! Solo i caldi raggi del sole che entrano dalla finestra riescono a svegliarci. Il panorama è eccelso e tutti gli appellativi si sprecano: a sinistra i 8501 metri del Lhotse, al centro i 6189 metri dell’Island Peak e a destra i 6814 metri dell’onnipresente Ama Dablam, ci accompagnano nel percorso odierno sino a Tengpoche. La voglia di arrivare a Namche Bazar è grande, con oggi inoltre esauriamo il nostro cibo, il fornellino smette di funzionare sino alla prossima avventura, riprenderemo a cenare presso i ristorantini locali dal momento che non abbiamo più bisogno di incamerare pasta pasta pasta per gli sforzi dell’indomani.

Namche Bazar è un vero gioiello! Dalla terrazza del Thawa Lodge assistiamo al via vai di portatori, guide, trekkers. tutto ciò lo percepiamo con un certo distacco…..noi abbiamo già dato! Riusciamo così a godere di questi momenti ritrovando il piacere della lettura, per altro l’ottima qualità dei pasti, dhal bat, patate bollite, omelette, pop corn, ciapati, vegetali con pasta ci invita a rimanere. Eh sì, ci staremmo ancora per una settimana in questo paradiso invece delle sole due notti prenotate!

Protagonista della giornata di oggi è Sandro, un ragazzo friulano che da moltissimi anni vive a Londra; persona squisita intraprendiamo una lunga chiacchierata che spazia dai viaggi, alle montagne, alle maratone, alle scelte di vita, agli amori infranti e tutto quello che può riservare l’esistenza. Ci lasciamo augurandoci una vita sempre piena di emozioni.

Ultimo giorno di trekking! Piange il cuore lasciare questo angolo di Paradiso, la proprietaria dell’hotel riconoscente del nostro pernottamento, ci offre due tazze di ottima cioccolata calda.

Dibi si presenta all’appello insieme a tre ragazzini, che presenta come i suoi fratellini poi velocemente si incammina verso Lukla ancora prima della nostra dipartita - see you, ci dice. Strano comportamento. Dalla finestra della camera notiamo che il furbastro ha caricato tutto lo zaino sulla schiena di uno dei tre ragazzini, che ignaro e probabilmente per poche rupie si presta all’estorsione. Il ragazzino non è certo suo fratello, come in seguito scopriremo, ma un conoscente che vive a Lukla. Trascorse poche ore raggiungiamo il ragazzo e poco prima intravediamo Dibi che mangia e beve in una locanda lungo la strada.

~

DAL DIARIO DI FLAVIO……………

LA TRUFFA. Fermo il ragazzino e gli chiedo di restituirmi il sacco, gli domando dove è Dibi e cosa è successo. Risponde che non parla inglese, quindi mi carico il sacco sulle spalle e continuo a camminare. Non passa mezz’ora che Dibi ci raggiunge. E’ furioso, ha gli occhi lucidi e puzza d’alcool. Vuole denaro! Dice che il sacco lo ha portato sempre lui sino all’ingresso della locanda, dove si è fermato a riposare. Gli rispondo che già alla partenza ho visto il carico sulle spalle del ragazzo. Urliamo e le nostre grida vengono udite dagli abitanti di un villaggio non troppo lontano, alcuni nepalesi assistono all’impietosa scena. Dibi si sente scoperto e probabilmente a causa dell’alcool si trasforma in una persona completamente diversa, quasi pericolosa. Gli pago la giornata trascorsa ma vuole più soldi. Si incattivisce e mi mette le mani addosso per cercare di fermare il mio incedere. La discussione continua perdendo sempre più significato fino a degenerare in uno scontro. Una scazzottata stile film western tra le urla di Stefania e nella quale Dibi ha la peggio sono il triste epilogo della vicenda. I nepalesi che assistono alla scena sostengono le mie ragioni e mi invitano a dargli qualche rupia giusto per calmarlo. Seguo i loro consigli ma soldi alla mano Dibi è ancora indiavolato, mi intima con frasi del genere: vieni a Lukla che ti uccido e poi scappa! Tento una sorta di riconciliazione, lo chiamo, gli chiedo di avvicinarsi. Lui più umilmente mi chiede se ho bisogno di un portatore, io gli rispondo di sì. Sicuramente i rancori rimangono ma almeno la storia finisce qui. A Lukla gli consegno il poco cibo che ci è rimasto, piatti, bicchieri, pentole e posate e lo saluto con la frase: questo è per la tua famiglia!

Filmatoeverest_files/Filmato%20campo%20base%20everest.wmvshapeimage_3_link_0
FotoFOTO_everset.htmlshapeimage_5_link_0

Flavio Facchinetti